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Medio Oriente, il silenzio dell’Italia

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Italia, se ci sei batti un colpo. Mentre ieri a Tripoli le fiamme divoravano edifici pubblici, i valori in Borsa di petrolio e gas cadevano a picco, e aerei e navi portavano via in fretta e furia cittadini stranieri dalla Libia, un tam-tam internazionale, da Bruxelles alla Bbc, al New York Times, ad Al Jazeera, alle rappresentanze diplomatiche europee, ha scaricato su di noi questa affermazione. Sulle tv straniere (ma qualcuno guarda qualcosa che non sia Rai e Mediaset a Palazzo Chigi?) passano e ripassano le immagini degli abbracci fra il nostro premier e Gheddafi, in tutte le loro molte performances: con o senza contorno di guardie del corpo femminili, con o senza mantelli berberi. Richiamata, per una volta, alla sua non lontanissima grandezza, al suo ex destino imperiale, l’Italia è sollecitata da tutta la comunità internazionale perché eserciti, come ogni potenza europea, le responsabilità acquisite nelle nazioni che una volta ha dominato.

Il terremoto che attraversa il Medio Oriente e il Nord Africa ha già infatti coinvolto Francia, Inghilterra, Stati Uniti. L’Italia invece è rimasta a guardare e nemmeno ora che attraverso la Libia il ciclone ci investe direttamente riesce a parlare.

Un silenzio che non è stato rotto dall’intervento di ieri sera del premier, apparso debole nella sua inspiegata contraddittorietà rispetto alle posizioni di solo pochi giorni fa. Né da quello del nostro ministro degli Esteri, la cui posizione, partita con una richiesta di non ingerenza all’Ue perché la «democrazia non si esporta» (ma è lo stesso ministro che la voleva esportare in Iraq solo qualche anno fa?), si è allineata solo alla fine alle critiche europee a Gheddafi. L’andamento ondivago del nostro governo, in una giornata drammatica, ha reso solo più evidente la nostra inadeguatezza al ruolo che dovremmo e potremmo ricoprire e che in parte paghiamo caro in termini di militari e investimenti in varie zone del mondo.

Questa inadeguatezza non nasce oggi, lo sappiamo. Come del resto sappiamo che in queste settimane, dall’inizio della rivolta egiziana, ci siamo rivelati assenti anche nella nostra più naturale e più efficace area di intervento. Quel che finora non sapevamo è invece quanto ostinata e convinta è la nostra indifferenza alla sempre più rapida marginalizzazione che il nostro Paese vive anche dentro l’Europa. Viene in mente, tanto per fare un esempio, un episodio proprio di queste settimane. Dal 4 al 6 febbraio si è riunita l’annuale Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, uno degli appuntamenti più rilevanti delle relazioni estere, dove si incontrano in modo informale tutti i protagonisti della politica internazionale. Caduta nel pieno dello sconvolgimento mediorientale, la Conferenza è divenuta occasione di nuovi impegni e nuove riflessioni: Hillary Clinton vi ha pronunciato un intervento considerato ora la nuova piattaforma degli Usa sul mondo arabo, e Cameron vi ha portato la sua già famosa riflessione sul fallimento del multiculturalismo. A Monaco erano presenti la Russia, l’Onu, la Merkel, Ban Ki-moon, il segretario della Nato Rasmussen e il presidente Sarkozy. Ma nel programma di interventi non c’era l’Italia e nessuno lì se ne è sorpreso; né – e questo è più grave – se ne è sorpreso nessuno in Italia.

Questa sorta di rassegnata indifferenza allo sminuirsi del nostro ruolo è sicuramente il frutto più avvelenato di una politica di un governo che appare del tutto avviluppato su sé stesso. Ma nemmeno l’opposizione ha mostrato particolare energia o passione per le vicende che avvengono sotto i nostri piedi nel Nord Africa – nonostante il rapporto con il mondo arabo (vedi il Libano) sia stato sempre un po’ il fiore all’occhiello dei governi di centro sinistra.

Una indifferenza bipartisan, potremmo dunque definirla, che è il miglior sintomo del punto di non ritorno cui è arrivata la nostra crisi nazionale. Il rapporto con Gheddafi e la Libia non è solo, come oggi preferirebbe sostenere qualcuno nell’opposizione, da imputare a Berlusconi. Il premier lo ha caratterizzato e appesantito dai suoi soliti personalismi e opacità, ma la Libia è un partner commerciale che tutti i nostri governi hanno coltivato nel tempo. Basta qui ricordare il ruolo avuto da Romano Prodi nel riportare il leader libico nella comunità internazionale, dopo gli anni di scontro diretto con gli Usa. In Libia abbiamo uomini e denaro, e dalla Libia dipendiamo, per energia, per scambi commerciali, e per investimenti reciproci. La caduta di Gheddafi rischia di essere una caduta di sistema anche per noi.

Per tutto questo, alla fine, sul Medioriente, l’Italia tace. Decidere che fare in questa gigantesca crisi richiede infatti conoscenza, visione, coraggio, progetto e una forte convinzione bipartisan del nostro Paese. Esattamente tutte le condizioni che, mai come in questo momento, ci mancano.

Solo che il silenzio non può durare a lungo. L’orologio ha cominciato il conto alla rovescia di Gheddafi. Delle tante ripetitive, e inutili, richieste di conta parlamentare, l’unica cui ci piacerebbe davvero assistere in questo momento è proprio sulla Libia e il Medioriente. Per vedere il governo e il Parlamento assumersi, in nome del Paese, una responsabilità immediata, trasparente, e pubblica.

Di Lucia Annunziata, opinionista la Stampa

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