Vita artificiale e civiltà dell’egoismo
Una importante notizia è stata pubblicata in questi giorni sulle prime pagine dei maggiori quotidiani: “E’ stata costruita in laboratorio la prima cellula artificiale, controllata da un Dna sintetico e in grado di dividersi e moltiplicarsi proprio come qualsiasi altra cellula vivente. Il risultato, pubblicato su Science, è stato ottenuto negli Stati Uniti, nell’istituto di Craig Venter. Si tratta di una svolta epocale nella ricerca. Con questo nuovo passo il traguardo della vita artificiale è ormai più vicino che mai…
Di fronte a notizie simili, a guardare “le magnifiche sorti e progressive” dell’evoluzione scientifica in materia, sempre più al servizio dei bisogni dell’uomo, ma pare anche sempre più al di là delle sue capacità di dominio, la mia sensazione di stordimento è forte.. sembra avvicinarsi a grandi passi lo scenario dei film di fantascienza, in cui l’essere umano “tradizionale” è solo “una delle possibilità”.
La domanda che mi sorge spontanea è semplice: abbiamo davvero bisogno di questo? Siamo certi che gli investimenti e le energie umane debbano continuare ad essere spesi massicciamente nella ricerca scientifica sulla vita, che ci porterà sempre più a un inevitabile – ma inevitabilmente imperfetto – avvicinamento all’onnipotenza divina? Ci sentiamo improvvisamente in dovere di farci trasportare dalla scienza verso un “antidestino” dalle conseguenze inimmaginabili? Siamo certi di voler barattare un sogno – o illusione.. – di eterna giovinezza, bellezza, salute..e potrei continuare fino all’immortalità, con la delega ad altri della gestione della nostra vita terrena (che finirà comunque..)?
Non potrebbe essere forse opportuno, altrimenti, destinare gli sforzi ad altri obiettivi? Se proprio vogliamo dedicarci alle questioni della vita, non si potrebbero ad esempio concentrare gli investimenti sui modi per migliorare “le terribili sorti e regressive” della nostra povera psiche, bombardata quotidianamente da incessanti impulsi negativi di stress – fretta – ansia – depressione – crisi dei valori – accantonamento dell’etica – famiglia allo sfascio – sessuomania – eclissi della politica – mito del denaro – corruzione delle istituzioni – prostituzione fisica e intellettuale, eccetera eccetera? Qualcuno potrebbe rispondere: e perché mai? Gli investimenti richiedono un mercato, e la felicità non si vende..
Siamo proprio sicuri? Non parlo di visioni utopistiche come quella americana del passaggio dal PIL (prodotto interno lordo) al BIL (benessere interno lordo), ma sono convinto che – nell’epoca dei centri benessere, e di pericolosi “auto-placebo” come la chirurgia estetica o le lampade abbronzanti – degli strumenti, medici, psicologici o di altro genere, che curino i danni della civiltà dell’egoismo e dell’apparenza sulla nostra psiche, andrebbero a dir poco a ruba. L’aumento della vendita degli psicofarmaci, o il successo di alcune “filosofie” orientali, ad esempio, lo testimoniano con evidenza. D’altronde, gli attacchi incessanti alla religione cattolica – la quale rende i credenti (che riescano a vivere in coerenza con la loro fede) immuni da molti o tutti gli impulsi negativi di cui sopra – rappresentano forse l’esempio più evidente di come la nostra civiltà occidentale, benché in teoria basata sulle libertà di espressione e di comunicazione, di fatto rigetti con forza ogni stimolo contrario alla sovrastruttura di egoismo e apparenza che, mentre la sorregge, la schiaccia sotto la sua “insostenibile leggerezza dell’apparire”.
Di Andrea Stazi professore a contratto di Diritto privato comparato e di Diritto dell’informatica e della comunicazione presso l’Università Europea di Roma