Un patto tra Europa e Cina
Il recente vertice Ue-Cina si è concluso senza un chiaro accordo strategico. Per rilanciare il loro partenariato, Bruxelles e Pechino dovrebbero invece puntare a un patto complessivo sui grandi temi globali.
Nel comunicato finale del vertice c’è una promessa generica a intensificare gli sforzi comuni su temi come la riforma del Fondo monetario internazionale, l’energia e il cambiamento climatico, ma nessun impegno preciso né sui contenuti né sui meccanismi di cooperazione. Mentre le relazioni economiche tra Ue e Cina godono di ottima salute e il mercato cinese ha permesso a molte aziende europee di sopperire al calo di ordinativi dagli Stati Uniti, le relazioni politiche sono in stallo. Manca tra le due parti quell’intesa sugli obiettivi di fondo che aveva caratterizzato il partenariato strategico sette anni fa. E nel frattempo i rapporti di forza sono notevolmente cambiati.
Rapporti di forza. Nell’ottobre 2003, all’epoca del partenariato strategico, l’Europa si sentiva in posizione di relativa forza rispetto alla Cina. L’adozione dell’euro, l’imminente allargamento ai paesi dell’Europa centrorientale e la prospettiva di dar vita al più grande mercato interno al mondo davano la sensazione ai leader europei di poter gestire l’ascesa cinese. Si erano anzi convinti che la si dovesse appoggiare. Andavano in questa direzione, ad esempio, il progetto volto a far partecipare la Cina a pieno titolo al progetto Galileo, il sistema europeo di navigazione satellitare alternativo all’americano GPS, ma anche l’idea di revocare l’embargo alla vendita di armi che era stato imposto alla Cina nel 1989 all’indomani del massacro di Piazza Tiananmen.
Oggi, a sette anni esatti di distanza dal partenariato strategico, le cose stanno in maniera diversa. L’Europa appare sempre più ripiegata su se stessa, soprattutto dopo la crisi greca e i timori per la tenuta dell’euro. La Cina è invece passata indenne attraverso la crisi, con un’economia che continua a crescere a un tasso a due cifre e un mercato interno che è diventato il più importante al mondo per molte imprese europee.
Le ingenti riserve valutarie cinesi (le più importanti al mondo, stimate oggi intorno ai 2500 miliardi di dollari) si stanno inoltre riversando, in misura sempre maggiore, in Europa. La Cina sta investendo massicciamente nelle infrastrutture e nelle aziende manifatturiere europee, con l’obiettivo di acquisire il know-how e le tecnologie necessari all’ammodernamento dell’industria nazionale.
Nonostante i timori per la crescita anemica e per lo stato delle finanze pubbliche della zona euro, la Cina continua a investire nel debito pubblico dei paesi europei. E oggi, come dimostra la cronaca più recente, è sufficiente l’annuncio di un impegno cinese all’acquisto di titoli del tesoro greci o spagnoli per ripristinare, almeno per un certo tempo, la fiducia dei mercati nelle disastrate finanze pubbliche di questi paesi. Tutto ciò rende ancora più evidenti i mutati rapporti di forza tra le due parti.
Di fronte a una Cina sempre più forte, l’Ue si presenta oggi quanto mai divisa. Nel 2003, all’epoca del partenariato strategico, c’era un’intesa di fondo fra gli allora 15 paesi membri. L’obiettivo era di usare la carta cinese per aumentare l’influenza internazionale dell’Europa e in questo modo bilanciare l’egemonia americana. Al punto che il partenariato strategico aveva sollevato più di un timore a Washington per paura della nascita di un asse Bruxelles-Pechino. Oggigiorno le relazioni sino-europee non sono più buone come un tempo e alla Casa Bianca siede Barack Obama e non George Bush. Nell’attuale Ue a 27, inoltre, manca una chiara e condivisa visione del ruolo internazionale della Cina e delle finalità di fondo del partenariato strategico tra Bruxelles e Pechino. In queste condizioni, su quali basi può essere rilanciato il partenariato Ue-Cina?
Patto globale. A scorrere la lista degli argomenti discussi durante l’ultimo summit, si resta colpiti dal fatto che sono, grossomodo, gli stessi presenti in agenda da anni. Sul piano economico la questioni centrali sono l’interscambio commerciale, l’accesso al mercato cinese e i diritti di proprietà intellettuale, che tanto preoccupano gli imprenditori europei. La Cina non sembra intenzionata ad affrontare seriamente questi problemi, almeno nel breve periodo, essendo preoccupata soprattutto di mantenere una crescita costante ed elevata (anche attraverso politiche industriali e commerciali aggressive) per non compromettere la stabilità interna.
Sul piano politico, rimangono sul tappeto i temi del riconoscimento alla Cina dello status di economia di mercato, la revoca dell’embargo, e la situazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, inclusa la questione del Tibet. Nonostante la diplomazia europea continui – giustamente – ad esercitare pressioni sui dirigenti di Pechino, è difficile pensare che in Cina possa realizzarsi, in tempi brevi, una sostanziale liberalizzazione politica. I recenti sviluppi interni sembrano anzi indicare un’accentuazione dell’autoritarismo e del controllo interno.
È sui grandi temi globali, dunque, che bisogna puntare per rilanciare le relazioni sino-europee. A partire dalla creazione, per esempio, di una EU-China High Level Task Force on Global Governance con il compito di raggiungere intese concrete e verificabili su alcuni grandi problemi internazionali di interesse comune. Si potrebbe iniziare con un impegno concreto su un numero limitato di questioni quali: (i) nuovo ordine monetario internazionale; (ii) cambiamento climatico – con impegni verificabili sulla riduzione dei gas a effetto serra e sulle tecnologie verdi; (iii) mantenimento della pace e della sicurezza in Africa – attraverso, per esempio, operazioni congiunte di peacekeeping/peacebuilding e uno sforzo convergente per la stabilizzazione di paesi, come il Sudan, dove sono in giochi comuni interessi.
È interesse dell’Ue che Pechino si assuma responsabilità globali commisurate al suo status di grande potenza. D’altronde, la questione del ruolo internazionale di una Cina ormai “emersa” a tutti gli effetti è intensamente dibattuta dall’élite cinese. Sono sempre più numerose, infatti, le voci che all’interno della Cina sottolineano l’interesse del paese a partecipare a pieno titolo alla riscrittura delle regole del nuovo ordine mondiale post americano, anche per potersene meglio avvantaggiare. Tra questi settori dell’élite cinese e l’Ue potrebbe crearsi un’utile convergenza in vista di un pieno inserimento della Cina nelle strutture della governance globale.
Il ruolo globale di Pechino. Interessata a conservare la propria libertà di manovra, la Cina appare però riluttante ad assumersi impegnative responsabilità globali. Ma se cominciasse davvero a fare di più a livello internazionale, alcune concessioni politiche sarebbero allora dovute. I dirigenti cinesi non smettono di fare pressioni sull’Unione Europea per ottenere, principalmente, due cose: il riconoscimento dello status di economia di mercato e la revoca dell’embargo. Due temi sui quali l’Ue-27 fatica a trovare un accordo. Occorre ricordare, però, che nel 2016 il riconoscimento alla Cina dello status di economia di mercato sarà automatico. Inoltre, la questione della revoca dell’embargo non può trascinarsi all’infinito, pena la credibilità dell’Ue come attore politico internazionale. Non potrebbe allora essere questa una base di partenza per discutere i termini di un patto globale tra l’Ue e la Cina e rilanciare il loro partenariato strategico? Non è forse giunto il momento per l’Ue di legare l’impegno a risolvere, per esempio, la questione della revoca dell’embargo a un serio e concreto impegno da parte di Pechino ad affrontare insieme alcune delle grandi sfide globali?
Stando all’ultimo survey dei Transatlantic Trends pubblicato dal German Marshall Fund of the United States e dalla Compagnia di San Paolo di Torino, il 63% degli europei ritiene che le differenze con la Cina sui valori siano tali da non permettere la cooperazione sulle grandi questioni internazionali. All’interno della Ue ci sono però marcate differenze: se in Germania solo il 18% della popolazione pensa che l’Europa e la Cina abbiano abbastanza valori in comune per poter cooperare efficacemente, in Italia questa percentuale sale al 26% e in Gran Bretagna al 42%. Allo stesso tempo, il 39% di europei (44% in Italia) concordano che Cina ed Europa abbiano in comune interessi tali da permettere la cooperazione, anche se la maggioranza – il 52% – ritiene che gli interessi restino comunque diversi. Dall’indagine emerge inoltre che meno del 20% della popolazione europea pensa che la Cina abbia giocato un ruolo positivo nella risoluzione dei principali conflitti mondiali, nella lotta alla povertà e nei confronti dei cambiamenti climatici.
Ora, se Pechino adottasse iniziative puntuali insieme all’Ue per contribuire a trovare una soluzione alle grandi sfide globali – e l’istituzione di una Task Force che lavori sulle tre grandi questioni menzionate sopra potrebbe essere un primo passo – per Bruxelles diverrebbe più semplice riconoscere alla Cina lo status politico di grande (e responsabile) potenza. Un tale passaggio faciliterebbe un accordo tra i 27 sulla revoca dell’embargo, che tanto sta a cuore alla dirigenza cinese.
Occorre quindi rilanciare le relazioni politiche sino-europee riprendendo lo spirito del 2003: una grande intesa tra Unione Europea e Cina. Non in funzione di contrappeso alla potenza americana questa volta, ma per promuovere un nuovo ordine mondiale su solide basi multilaterali.
Di Nicola Casarini, research fellow all’Istituto dell’Unione Europea per gli Studi sulla Sicurezza (Parigi) e consulente di ricerca per la Cina e l’Asia orientale dell’Istituto Affari Internazionali (IAI); è autore di “Remaking Global Order: The Evolution of Europe-China Relations and its Implications for East Asia and the United States” (Oxford University Press, 2009). (affariinternazionali)