1. Home
  2. Approfondimenti
  3. Tutte le incognite del federalismo

Tutte le incognite del federalismo

0

All’inizio la Lega parlava di secessione, poi è passata al federalismo, e ora dice «federalismo fiscale». L’ultima dizione è uno specchietto per le allodole? In gran parte sì. Il «fiscale» piace al Nord (che lo legge: più soldi da tenere per sé), e inoltre la qualifica di fiscale dà l’idea di un federalismo circoscritto, più modesto. Ma non è così. Se sarà, sarà completo e, temo, micidiale. Il collega Angelo Panebianco, sulle colonne di «Sette» è tranquillo. Per lui le riforme istituzionali saranno chiacchiere che non arriveranno a nessuna conclusione. Io sono meno tranquillo, confesso.

A Berlusconi restano tre anni di governo per i quali non può più addurre il pretesto – anche se continua a invocarlo – di non avere il potere di governare. In realtà nessuno, dopo l’infausto regime, ne ha avuto quanto lui. Si vede che il Nostro non è forte in storia, nemmeno recente. Il fatto è però che Berlusconi non ha soldi (s’intende, soldi pubblici) e che Tremonti non glieli può dare perché, vedi caso, il fisco non piace agli italiani (Berlusconi incluso) e lascia le casse dello Stato a secco. Invece le riforme inizialmente non costano nulla, sono pezzi di carta. Dopo costeranno, ci scommetto, moltissimo. Ma après moi le déluge, dopo me venga pure il diluvio. Tra tre anni Berlusconi medita di insediarsi al Quirinale, da dove il diluvio lo può guardare al sicuro dall’alto. Intanto, ripeto, le riforme sarebbero a costo zero. I problemi sollevati dal nostro rifacimento federalistico esauriscono il mio pallottoliere. Qui li raggrupperò sotto quattro stringatissime voci. Primo, il costo finanziario: nuove sedi, nuovo personale, nuovi stipendi. Questa cosiddetta devolution quanto verrà a costare? Nessuno lo sa, nemmeno all’incirca (come è stato onestamente ammesso da Tremonti).

In passato l’impavido Calderoli diceva: niente. Niente, tra l’altro, perché a suo dire il personale «federalizzato » verrà trasferito da quello statale. Si è visto. Man mano che le Regioni si consolidavano i «trasferiti» sono stati quattro gatti (salvo che da una sede romana all’altra) e contestualmente il personale centrale ha continuato a crescere. Dunque costi crescenti, sicuramente ingenti, e ignoti. In un’altra sua esternazione il faceto Calderoli ha asserito che il problema non esiste perché «tutti gli Stati federali costano meno di quelli centrali». Questa è davvero una perla. Tutti gli Stati federali in funzione, e che funzionano, sono nati federali. Pertanto non possiamo sapere quanto costavano prima quando erano (non erano) centralizzati. Secondo, i costi decisionali: quanto si allungheranno i tempi, e anche quanto aumenteranno i veti, i blocchi sui permessi di fare qualcosa. Di regola, più sono i passaggi di una pratica da una scrivania all’altra, più tempo ci vuole perché arrivi in porto.

Però i costi decisionali sono anche dovuti alla incompetenza e al menefreghismo del personale che gestisce i papelli. E purtroppo il reclutamento del personale regionale è soprattutto clientelare, e anche, man mano che si scende al Sud, sfacciatamente familistico e pericolosamente infiltrato dalla malavita. Comunque sia, il punto è che il grosso delle nuove assunzioni non avviene per merito e capacità ma per alleviare la disoccupazione e allevare clientele elettorali. Federalismo clientelare? Sarebbe un bel risultato. Terzo, il costo della frammentazione localistica. Il mondo reale è sempre più interconnesso e richiede strutture diciamo «lunghe» e allungabili: strade e ferrovie di migliaia di chilometri, oleodotti e gasdotti che traversano i continenti, linee di trasmissione dell’energia davvero globali, e così via. Invece da noi, un comune blocca un traliccio elettrico (spesso solo per farsi pagare, per fare cassa), il grande Nichi Vendola blocca da anni il rigassificatore di Brindisi (per l’Italia una riserva vitale), e Firenze non riesce ad avere un aeroporto decente perché il comune limitrofo nega da sempre qualche centinaio di metri del suo preziosissimo territorio per allungare la pista. Eccetera, eccetera, eccetera.

Il federalismo andrà a spezzettare un paese già troppo spezzettato. Se ne dovrebbe quantomeno discutere a fondo, sul serio. Ma la tv è imbavagliata, e la partita sembra oramai aggiudicata. Dimenticavo: gli italiani sono buoni, il nostro sarà un federalismo «solidale». Vorrei vedere prima di credere. Quarto, e brevissimo. Esiste, o può esistere, una qualsiasi organizzazione senza punizioni? La Sicilia fa da gran tempo tutto quel che vuole, eppure non è mai punita. Altrove esistono ancora i «commissariamenti»; ma andranno a sparire. Negli Stati Uniti (un sistema federale serio) la città di New York può fallire; e proprio per questo non fallisce. Ma in Italia Palermo, Napoli, Catania, saranno libere, come meriterebbero, di fallire? Oppure costringeranno le banche delle quali si andranno a impadronire, a fallire per loro? Sarei curioso di sapere dal ministro Calderoli (Bossi e Berlusconi non lo sanno di certo) se il federalismo leghista contempla sanzioni, e quali. Grazie, se ci sarà, dell’attenzione.

Di Giovanni Sartori editorilaista Corriere della Sera