Tre cose da fare per salvare l’euro
Un numero crescente di ricercatori ed osservatori prevede la dissoluzione dell’euro, alcuni – per esempio Mario Deaglio, Università di Torino, in un intervista a Radio 24 – perfino profetizzandola entro cinque anni. Il mercato finanziario chiede un premio verso il 10% per comprare titoli di debito sovrano greco, segnalando in tal modo che ne teme l’insolvenza, almeno parziale. Weber, presidente della Banca centrale tedesca e componente del direttivo della Bce dichiara, con sorprendente incoscienza visto il ruolo, che c’è un rischio di contagio da parte del male greco alla Spagna, Portogallo ed altri, tra cui noi pur non citati. Dove per contagio si intende che il mercato sarà più reticente nel comprare titoli di debito pubblico in euro e vorrà più interessi, alla fine rendendo insostenibile il loro peso e costringendo gli Stati più indebitati a dichiarare l’insolvenza. Tali eventi di “default” a catena renderebbero l’euro carta straccia. Ma, pur scendendo, il cambio euro/dollaro non sconta ancora uno scenario catastrofico. Cosa dovrebbero pensare i lettori di fronte a questi dati contradditori?
La profezia di dissoluzione dell’euro ne accompagnò la nascita nel 1999. Una folta schiera di economisti tedeschi si rivolse alla Corte costituzionale per bloccare l’euro sostenendo che non era possibile applicarlo ad economie deboli e disordinate e che se fosse stato fatto la Germania avrebbe perso stabilità monetaria. Il prof. Feldstein, docente ad Harvard, profetizzò il crollo dell’euro entro un decennio. Anch’io scrissi, dal 1996 al 1999, per avvertire che l’euro non sarebbe stato sostenibile con la formula di applicazione proposta (e mi beccai l’etichetta di euroscettico). Qual è il problema principale? Non ci può essere moneta unica se non c’è un governo dell’economia unitario.
Nell’Eurozona ci sono economie forti, deboli, e forti ma con un debito che ne deprime la crescita, come l’Italia. La stessa moneta può essere applicata a tutti solo se c’è un centro di politica economica europeo capace di compensare gli squilibri tra i partecipanti via compensazioni. Se non c’è, il sistema salta. Tale problema non si può risolvere solo imponendo agli Stati la disciplina di bilancio. Paradossalmente, tutti erano e sono d’accordo su questo punto. Infatti la dottrina dell’euro, nel 1997 (Trattato di Amsterdam) fu: cominciamo a farlo e poi per necessità tutte le nazioni dovranno accettare il governo unico europeo dell’economia o se no la moneta crollerà. Ma le nazioni, Germania in testa, non hanno voluto sostenere l’integrazione monetaria con quella politica.
Ed è per questo, in sostanza, che l’euro è nei guai: non ha “patrimonio politico”. Il mercato non sconta ancora la dissoluzione dell’euro perché ritiene che, di fronte all’emergenza evidente, alla fine i governi accetteranno di convergere per dare all’eurozona un sistema di bilanciamento che aiuti le economie deboli o più indebitate a restare nell’euro stesso. Per esempio: (a) europeizzazione con garanzia rafforzata dei debiti nazionali in euro; (b) compensazioni ai Paesi deboli oppressi dalla moneta forte, cioè dall’impossibilità di svalutare per aggiustarsi; (c) cambiamento dello statuto della Bce affinché possa usare la politica monetaria non solo contro l’inflazione, ma anche per stimolare la crescita, per esempio rendendo più competitivo il cambio. Ma il primo caso di vera emergenza che richiedeva convergenza, quello greco, è stato affrontato con divergenza totale tra gli eurogoverni, Germania per le sue. Cosa pensare? Alla fine l’euro verrà salvato, ma del come non c’è ancora segno.
Di Carlo Pelanda (Sussidiario)