1. Home
  2. Approfondimenti
  3. Spagna, Grecia e la fragilità economica dell’Europa.

Spagna, Grecia e la fragilità economica dell’Europa.

0

L’economia europea scricchiola, i conti pubblici nazionali deragliano e l’euro finisce sotto l’attacco degli speculatori. Sono giorni difficili per la Ue, che vede crollare e rischiare grosso l’unica cosa veramente “unica” che possiede: non una politica economica né una politica estera, ma la propria valuta. La sfiducia dei mercati e i crolli delle borse europee sono stati innescati dalle difficoltà che stanno affrontando i Pigs (acronimo per “maiali”), ossia Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna. Ossia i quattro paesi oggi più fragili della zona euro. Ma i dati sui conti pubblici della Francia dimostrano che in realtà il problema è più vasto. Il deficit statale di Parigi a dicembre, riporta l’agenzia Bloomberg citando i dati diffusi dal ministero del Bilancio, ha raggiunto il livello record di 137,99 miliardi di euro (nel 2008 erano 56,27 miliardi). Effetto della crisi economica e della riduzione delle entrate fiscali. E per il 2010 le stime sono ancora peggiori: il governo francese prevede un deficit di 149,2 miliardi di euro.

Ieri la Grecia, oggi la Spagna, domani chissà. Sono molti gli stati europei che non riescono a rispettare (o non vogliono) i rigidi vincoli monetari europei, il Patto di stabilità e di crescita. Alcuni giorni fa, dalle pagine del suo blog, Paul Krugman ci ha però avvertiti che il vero problema per l’euro non è la Grecia, o qualsiasi governo si comporti come Atene vivendo al di sopra dei propri mezzi e spendendo troppo. Il vero problema – ha scritto Krugman – non è fiscale ma economico. Il vero problema è la Spagna, o situazioni analoghe. Concentrandosi sulle difficoltà della Grecia – ha scritto Krugman prima che il caso iberico esplodesse nelle borse europee – si finisce con l’ipotizzare che i problemi dell’euro siano legati a una spesa eccessiva. “Non è così – ha scritto l’economista -, il più grosso problema non è la Grecia ma è la Spagna, che aveva eccedenze di bilancio fino a pochi anni fa. Ora la Spagna ha grossi deficit, ma sono provocati dal suo crollo economico. E sottolineare questo crollo è il vero problema con l’euro: vale a dire la sua politica monetaria uguale per tutti, che non offre nessun sostegno ai paesi in grosse difficoltà”.

Il problema dell’Europa è che di fronte alla crisi economica e di crescita l’unica politica che sa mettere in campo è quella dei vincoli monetari, governata dalla Bce. Illuminato dal solo faro comune del Patto di stabilità, alla cui luce appena può cerca peraltro di sottrarsi, ogni paese per il resto fa da sé (e spesso fa male), o addirittura compete con gli altri, mentre le istituzioni che dovrebbero coordinare e governare il Vecchio Continente, Commissione e Consiglio europeo, rispondono assente all’appello. L’ha spiegato l’economista Jean-Paul Fitoussi, in occasione della laurea honoris causa conferita a Joseph Stiglitz dalla Luiss, a Roma, il 5 febbraio.

Il fallimento dell’Europa è un fallimento economico e politico. In una lettera inviata dal capo del gruppo liberale al Parlamento europeo, Guy Verhofstadt, al presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy si legge: “Il minimo che si possa dire è che l’Unione non sta bene. Le occasioni mancate e i fallimenti si accumulano”, scrive Verhofstadt aggiungendo che “nel 2010 la crescita della zona euro raggiungerà appena lo 0,9 per cento, mentre quella cinese toccherà il 10 per cento, l’indiana il 7 per cento, la brasiliana il 4,8 per cento e la statunitense il 4,4. Nel 2050 il G7 non sarà più composto da Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Germania, Italia, Giappone e Canada, bensì da Cina, India, Brasile, Russia, Messico, Indonesia e Usa”.

Recentemente il direttore di Limes Lucio Caracciolo, nel corso di una trasmissione televisiva, ha ricordato a chi era in ascolto che al termine del suo ultimo viaggio in Europa il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha dato istruzione ai suoi collaboratori di depennare il Vecchio Continente dall’agenda di Washington. “E’ inutile perdere altro tempo con loro”. Poco dopo Obama ha annullato la propria presenza al vertice Usa-Ue, che si terrà a Madrid in maggio. Senza leadership e senza coordinamento, è questa la fine che si fa.

Tornando alla Spagna, tacciato dal El País di aver gestito in modo “erratico” e “improvvisato” il paese, oggi il premier Zapatero ha difeso la “solidità del sistema finanziario” spagnolo, e ha accusato “movimenti speculativi” di investitori che “cercano guadagni a breve scadenza” di aver causato il crollo della Borsa di Madrid. Ma la sua credibilità è ai minimi storici. “Le misure annunciate dal governo per ridurre il deficit non hanno convinto nessuno – giudica ancora El País -. La riforma delle pensioni e il piano di austerità nella spesa pubblica hanno obiettivi troppo modesti. Per di più, il governo appare politicamente debole di fronte alla comunità internazionale. Per tutti questi motivi, è normale che gli investitori non si fidino più della Spagna”. Non solo El País, ma anche El Periódico descrive una “sensazione di non governo, di improvvisazione, di perdita dei pochi alleati del governo che rimanevano” e accusa Zapatero “di avere preso misure tardi e non nell’ordine adeguato”. El Economista scrive invece che “il problema risiede in un governo che stacca gli assegni con troppa facilità, mentre non dà la sensazione che restituirà i soldi”.

Nel 2009 il Pil spagnolo è crollato del 3,6%. A inizio 2010 la disoccupazione ha superato la soglia dei quattro milioni di persone. Solo a gennaio sono andati bruciati 125 mila posti di lavoro. Per quanto riguarda la spesa, nel 2012 il debito pubblico (secondo la previsione del governo spagnolo) raggiungerà il 74,3%. Il rapporto deficit-pil, arrivato oggi a un drammatico 11,4%, dovrebbe scendere tra due anni al 5,3%, e rientrare sotto il tetto del 3% nel 2013. Questo l’impegno di Madrid con Bruxelles. Ma la Spagna come intende soddisfare la sua promessa? Con tagli alla spesa pubblica di 50 miliardi, ad esempio. Oppure con un piano per aumentare l’età pensionabile da 65 ai 67 anni che, poche ore dopo averlo ventilato alla Commissione europea, il premier Zapatero ha dovuto rimettere nel cassetto pena l’“insurrezione” dei sindacati, che della misura non erano neppure stati avvertiti.

Si tratta di classiche “misure draconiane”, non dissimili da quelle che un altro premier socialista, il greco George Papandreu, ha annunciato il 3 febbraio scorso per tagliare il deficit del 4%: la ricetta per la Grecia va dal blocco degli stipendi del settore pubblico a una riduzione del 10% degli incentivi ai funzionari pubblici, all’aumento del prezzo della benzina. Da Bruxelles il presidente della Bce, Jean Claude Trichet, ha approvato, promettendo che vigilerà. Da Roma invece, il premio Nobel Stiglitz ha detto il contrario: “I tagli non funzioneranno”; serviranno solo a ottenere “l’approvazione del mercato”, ma porteranno “al fallimento della strategia e alla sofferenza delle persone.

Di Davide Orecchio (Rassegna web)