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Serbia nella UE e il nodo Kossovo

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A settembre la Serbia e i paesi membri dell’Ue hanno presentato congiuntamente una risoluzione sul Kosovo all’Assemblea Generale dell’Onu, che l’ha approvata all’unanimità. Benché la risoluzione non contenga innovazioni rilevanti sulla questione del territorio conteso, l’accordo da cui è scaturita potrebbe aver aperto una nuova fase nel processo di avvicinamento della Serbia a Bruxelles.

In un parere pubblicato lo scorso luglio, la Corte internazionale di giustizia (Cig) aveva sostenuto che la dichiarazione di indipendenza del Kosovo non è in contrasto con le norme del diritto internazionale. La Serbia aveva reagito, annunciando che avrebbe proseguito la battaglia diplomatica per mantenere l’integrità del suo territorio e la sovranità sul Kosovo, prospettando la presentazione di una risoluzione di condanna della secessione kosovara all’Assemblea Generale dell’Onu. Se approvata, la risoluzione avrebbe controbilanciato politicamente il parere negativo della Cig.

La carota dell’adesione. L’Ue è però riuscita a distogliere la Serbia dai suoi propositi: Belgrado ha accettato una risoluzione nettamente diversa, preparata insieme ai paesi dell’Unione. Per la diplomazia dell’Ue, che non gradiva il testo originario della risoluzione, si è trattato di un successo, anche perché la risoluzione invita l’Unione ad esercitare un ruolo di mediazione tra Belgrado e Priština. I colloqui tra il governo serbo e Catherine Ashton, Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Ue si sono rivelati decisivi. Lady Ashton è riuscita a convincere Belgrado facendo leva soprattutto sulle prospettive di adesione della Serbia.

Il governo serbo spera che già dal prossimo Consiglio europeo, che si svolgerà a fine ottobre, i governi dell’Ue trasmetteranno alla Commissione la domanda di adesione serba. In tal modo Belgrado potrebbe ottenere lo status di candidato prima della fine dell’anno.

Il prezzo del consenso . La risoluzione targata Serbia-Ue ha ricevuto il consenso unanime dell’Assemblea Generale. Tuttavia, come spesso accade, il prezzo dell’unanimità è stato un testo fortemente diluito, che “tiene conto” del parere della Cig, senza però pregiudicare formalmente la posizione serba.

A meno di sviluppi inattesi, la questione del Kosovo continuerà a rimanere aperta ancora per diversi anni. D’altronde, la situazione nell’ex provincia jugoslava è ben lontana dalla stabilità. Le istituzioni del governo locale, che sono in mano agli albanesi del Kosovo, dipendono ancora dal sostegno e dagli aiuti internazionali, mentre le aree a maggioranza serba non hanno intenzione di sottomettersi alle autorità di Priština.

La maggioranza degli stati rimane favorevole alla posizione serba, il che impedisce tra l’altro l’ingresso del Kosovo nelle maggiori organizzazioni internazionali. Gli Usa e molti paesi europei avevano sperato che il parere positivo della Cig potesse favorire numerosi riconoscimenti; per ora, però, solo l’Honduras si è aggiunto a quanti già riconoscevano il Kosovo.

Diversi paesi dell’Ue sembrano ritenere che, posta di fronte a una scelta secca tra l’integrazione nell’Unione e la sovranità sul Kosovo, Belgrado sceglierebbe la prima. Alcuni diplomatici e osservatori sono anzi persuasi che i cittadini serbi tale scelta l’abbiano compiuta già nel 2008, quando la coalizione guidata dal presidente Boris Tadić prevalse (di misura) sul ‘fronte patriottico’, composto da Vojislav Koštunica e dal Partito radicale (Srs).

Le cose però non sono così semplici. Come mostrano gli ultimi due anni di contesa diplomatica, il governo guidato da Mirko Cvetković non ha mai considerato di rinunciare all’integrità territoriale. Il governo serbo ha rifiutato l’idea che l’adesione all’Ue e il mantenimento della sovranità sul Kosovo siano inconciliabili. Anzi, i massimi esponenti del governo, a cominciare dal ministro degli esteri Vuk Jeremić, hanno esplicitamente escluso una rinuncia al Kosovo anche se da Bruxelles arrivasse un perentorio aut aut.

Nervo scoperto. Se rinunciassero al Kosovo i dirigenti serbi rischierebbero di scatenare un’ondata di indignazione popolare e di compromettere irreparabilmente la propria carriera politica. In Serbia c’è una diffusa apatia politica, ma la questione del Kosovo è un nervo scoperto per l’opinione pubblica, che molti sono interessati a sfruttare. Dopo il compromesso raggiunto tra Belgrado e l’Ue, vari politici serbi del Kosovo hanno bollato Tadić come un traditore, invocandone la messa in stato di accusa.

A ricordare l’attaccamento dei serbi al territorio del Kosovo, ci ha pensato anche il nuovo patriarca della chiesa ortodossa, intronizzato il 3 ottobre. Durante la cerimonia, svoltasi nella cittadina kosovara di Peć, sede storica della chiesa serba, il patriarca Irinej ha definito il Kosovo “sacra terra serba” e ha auspicato la pacifica convivenza tra serbi e albanesi, invocando una soluzione che non privi il popolo serbo dei “secolari diritti sulla sua patria”.

Inoltre non sembra che l’Ue possa includere il riconoscimento del Kosovo tra le condizioni necessarie per l’adesione serba. Il riconoscimento di uno stato spetta infatti ai singoli paesi membri, e cinque di loro (Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia e Spagna) non hanno intenzione di avallare il separatismo etnico. Né l’Ue riconosce formalmente l’indipendenza del Kosovo: le relazioni di Bruxelles con Priština si sviluppano infatti nel quadro della risoluzione 1244/99 del Consiglio di sicurezza dell’Onu.

Per uscire dallo stallo si potrebbe trovare una formula che permetta l’ingresso di Belgrado nell’Ue, senza affrontare esplicitamente lo status del Kosovo: una formula che renda le conseguenze giuridiche dell’adesione valide solo all’interno del territorio effettivamente controllato dal governo serbo. Il caso di Cipro presenta affinità con tale scenario. E’ vero che l’ingresso di Nicosia non ha risolto il conflitto cipriota, ma ciò non significa che esso sarebbe stato risolto più agevolmente se Cipro fosse rimasta fuori dell’Unione. Analogamente, l’ingresso della Serbia nell’Ue difficilmente complicherebbe la questione kosovara, potrebbe anzi facilitarne la soluzione, se Bruxelles riuscisse a mettere in atto un’efficace attività di mediazione.

Di Giordano Merlicco collaboratore dello Iai (affariinternazionali.it)