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Quando le inchieste fanno bene a chi le subisce

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La gran parte degli analisti concorda sul fatto che l’inchiesta di Trani può far bene a Berlusconi. In senso elettorale, s’intende. Il perché un’inchiesta così deleteria per l’immagine di un premier che s’incazza perfino guardando «Parla con me» possa invece trasformarsi in un vantaggio politico, è molto chiaro. Tutto lo sforzo di Berlusconi in queste ore è finalizzato a portare alle urne i suoi elettori: delusi, infastiditi, astensionisti. Sono loro che possono fagli perdere le regionali. Sono loro che devono essere motivati a votare.

Il modo migliore che Berlusconi conosce per farlo, è il vittimismo: c’è una persecuzione dei giudici contro di me, c’è un complotto tra giudici e sinistra contro di me. Ha funzionato quasi sempre (e prima o poi bisognerebbe cominciare a chiedersi perché), ma l’inchiesta di Trani si presta alla bisogna come poche. Del resto, il suo esito processuale (ormai in viaggio verso Roma) è quantomeno dubbio: per telefonate peggiori (quelle con Saccà) un’altra indagine così finì archiviata. Qui non si tratta di corruzione, di pagamenti e passaggi di denaro. Si tratta di un premier che perde il suo tempo nel tentativo – tra l’altro vano – di chiudere programmi televisivi. È difficile che gli alieni le simpatie del suo pubblico, ma è molto probabile che galvanizzi i suoi fan. La manifestazione di domani è una tappa cruciale in questa strategia, e solo a questo serve.

Quello dell’astensionismo è il vero rischio letale che corre il Pdl, e lo si capisce bene dall’accorato editoriale di Vittorio Feltri sul Giornale, che si conclude con un invito montanelliano a turarsi il naso perché «o Silvio o il diluvio. Non c’è alternativa». E il metodo che Silvio Berlusconi ha trovato per scongiurare il pericolo è esattamente quello che indicavamo prima, visto che ormai non c’è comizio (neanche quello semideserto di ieri a Napoli) in cui non faccia il suo numero contro i giudici e la sinistra. «I magistrati dettano la campagna elettorale», ha detto; ma la realtà è che quella campagna elettorale lì, lui la conosce a memoria.

Sia come sia, ai magistrati non si può certo chiedere di calibrare i loro interventi a seconda delle convenienze elettorali. Anche se il procuratore capo di Trani fosse in cuor suo il più grande fan di Berlusconi, non si potrebbe accusarlo di avergli fatto un favore indagandolo per violenza o minaccia a corpi amministrativi dello Stato, come ha fatto. Allo stesso tempo, non ci si può lamentare a sinistra del fatto che la procura di Bari abbia scelto proprio la fase finale della campagna elettorale per arrestare un politico di primo piano del centrosinistra pugliese, Sandro Frisullo, che era indagato da mesi, che si era dimesso da vicepresidente di Nichi Vendola e che ovviamente non si era ricandidato. Vedremo se le esigenze cautelari previste dal codice erano così imprescindibili da imporre gli arresti in carcere. Ciò che non va bene in ogni caso è che l’iniziativa della procura di Bari possa essere interpretata tranquillamente, a destra e a sinistra, come un pareggio con quella di Trani. Ma è la prova di quanto si sia fatto pericoloso il cortocircuito tra giustizia e politica.

Così come l’inchiesta di Trani difficilmente danneggerà Berlusconi, è prevedibile che anche quella di Bari non farà danni a Vendola. Tutto sommato è storia vecchia, gli elettori l’hanno già metabolizzata, e anzi proprio da quell’inchiesta Vendola fece uno scatto in avanti, scegliendo di calvalcare lo scandalo che aveva riguardato la sua giunta, trasformandolo in una battaglia intransigente per la moralità pubblica. Questo hanno di curioso le inchieste giudiziarie applicate alla politica: una notevole e del tutto imprevedibile eterogenesi dei fini.

Ma il problema che prima o poi l’opinione pubblica e il Parlamento si dovranno porre è che, se pure ai magistrati non si può chiedere di fare valutazioni politiche prima di agire, si può certamente chiedere loro di impedire le fughe di notizie e di controllare le fregole di manette in campagna elettorale. Se il sistema della politica e dei media non è in grado in Italia di elevare una invalicabile linea Maginot tra le inchieste e le elezioni, tenendole rigorosamente separate, bisognerà che a farlo sia la legge.

Di Antonio Polito editorialista Il Riformista

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