Pechino teme la bolla immobiliare
Qualche giorno fa Li Daokui, professore alla Tsinghua University, e membro del comitato di politica monetaria della banca centrale della Cina, ha dichiarato che il mercato immobiliare cinese presenta problemi più acuti di quello dello stesso settore negli Stati Uniti prima della crisi finanziaria. È il riconoscimento, il primo di una personalità di questo livello, che la bolla speculativa cresciuta negli ultimi anni potrebbe esplodere. Con il rischio di provocare seri disordini sociali.
In effetti, i prezzi delle case residenziali a Pechino sono aumentati di più del 60% dal giugno 2005: un’ascesa continua, con una leggera pausa tra l’agosto 2008 e il febbraio 2009, quando terminò l’effetto Olimpiadi, che tanto aveva contribuito a gonfiare il mercato immobiliare nella capitale.
Su scala nazionale, ad aprile 2010 il prezzo medio delle case era dell’11,7% superiore a un anno prima. Nei soli primi undici mesi del 2009 l’aumento è stato del 27,8% e il prezzo medio al mq è arrivato a 637,5 dollari Usa, un valore elevato per un paese in via di sviluppo con più di 800 milioni di persone che vivono nelle campagne. Per porre un freno alla spirale inflazionistica che il boom immobiliare rischia di innescare, e alla speculazione diffusa, il governo ha annunciato ad aprile una serie di misure restrittive del credito: per l’acquisto delle seconde case il deposito obbligatorio è stato portato dal 40 al 50% del valore dell’immobile e anche il tasso di interesse sui mutui è stato aumentato. L’acconto minimo per l’acquisto della prima casa, se più estesa di 90 mq, è stato fissato al 30%.
Intreccio pubblico-privato. Il boom immobiliare ha più di un causa. C’è innanzitutto una crescente domanda abitativa da soddisfare, dovuta all’impetuosa urbanizzazione del paese. Milioni di contadini hanno lasciato le campagne in cerca di un’occupazione meglio retribuita. I residenti nella sola Pechino sono passati da 12,57 milioni nel 1999 a 17,55 milioni nel 2009. Inoltre, i proventi da allocazione dell’uso della terra costituiscono una fonte importante di entrate per le amministrazioni locali. Infatti, la terra, che è di proprietà pubblica, viene concessa in lease per un tempo massimo di cinquant’anni per i siti produttivi e commerciali, e di settant’anni per la costruzione di edifici residenziali.
Nel contesto cinese, caratterizzato da una commistione tra interessi privati e statali, gli enti pubblici sono molto spesso partner dei property developers. Secondo Bao Zonghua, ex direttore del centro di ricerca sulle politiche di sviluppo urbano e rurale, i proventi da vendita delle case costituiscono dal 40 al 60% delle entrate delle amministrazioni locali. Secondo la China Index Academy, un istituto di ricerca sul settore immobiliare, nel 2009 le entrate da cessione dei diritti di uso della terra nelle settanta principali città cinesi ammontavano a 1,08 trilioni di yuan (158,82 miliardi di dollari Usa), in aumento del 140% sull’anno precedente. Nella sola città di Shanghai, nel 2010 la municipalità prevede di incassare, a questo titolo, 90 miliardi di yuan, con una crescita del 33% rispetto al 2009.
Le misure decise dal governo hanno avuto un effetto immediato sulle vendite, ma, a quanto sembra, non sui prezzi. A maggio, il valore complessivo delle vendite è diminuito del 70% a Pechino rispetto ad aprile, del 70% a Shanghai, del 62% a Shenzhen. I prezzi, invece, come si vede dal grafico, sono aumentati in settanta grandi e medie città cinesi del 12,4% su base annua, in leggera contrazione (-0,4%) rispetto ad aprile, a causa essenzialmente del ridimensionamento del mercato immobiliare nelle città di primo livello quali Pechino, Shanghai e Shenzhen.
Per rompere il circolo perverso tra amministrazioni pubbliche e costruttori, all’inizio di giugno il governo cinese, ha annunciato, senza entrare troppo nei dettagli, l’introduzione graduale di una tassa sulla proprietà, iniziando in via sperimentale dalle proprietà statali a Wuhan, capitale della provincia dell’Hubei. L’obiettivo è di garantire agli enti pubblici una fonte certa di reddito, senza che debbano dipendere dalla continua espansione del settore immobiliare. Ovviamente, la prima difficoltà tecnica del governo, considerate le dimensioni del settore, è quella di elaborare criteri uniformi di valutazione del valore degli immobili, tenendo conto anche della differenza tra la prima, la seconda e la terza casa (secondo Liu Ligang, dell’Australia and New Zealand Banking Group Ltd, il 20% degli immobili è riconducibile a soggetti intestatari di più case).
Verso una battuta d’arresto? . Il timore del governo è che i prezzi fuori controllo alimentino la frustrazione dei ‘nuovi poveri’ delle città che hanno abbandonato le campagne in vista di un avvenire migliore, ma non possono permettersi di acquistare una casa. Peraltro, il settore ha sempre privilegiato lo sviluppo di residenze di valore, a scapito di soluzioni abitative più abbordabili per il cittadino medio. Secondo uno studio citato dal Wall Street Journal le misure del governo possono portare nel medio periodo a una diminuzione dei prezzi di circa il 20%. In attesa di questo calo, i potenziali acquirenti, come spesso succede in questi casi, potrebbero rimanere alla finestra. Il mercato immobiliare potrebbe quindi subire una forte battuta d’arresto.
Li Fuan, presidente del dipartimento di innovazione bancaria della China Banking Regulatory Commission, sostiene che il settore immobiliare continuerà a rappresentare un’industria cruciale per i prossimi venti-trent’anni e che le banche dovrebbero continuare a sostenere i “buoni costruttori”. Del resto il settore ha dimensioni enormi, e costituisce perciò un traino fondamentale per l’economia: i costruttori hanno investito 398,8 miliardi di yuan a maggio, portando l’investimento dei cinque mesi a 1,39 trilioni di yuan, + 38,2 % su base annua.
Il recente intervento governativo volto a raffreddare il mercato rientra nel tentativo di spostare l’economia cinese dalle esportazioni e dall’investimento ad alta intensità di capitale ai consumi interni. Ma spezzare l’intreccio clientelare tra affari e politica, che ha avuto nella speculazione immobiliare la sua manifestazione più estrema, è tutt’altro che facile. La crescita economica cinese fin dagli anni di Jiang Zemin si basa infatti su questo intreccio. Basti pensare che un terzo dei miliardari cinesi ha interessi nel settore immobiliare, soprattutto in città come Pechino, Hangzhou, Guangzhou e Shenzhen, e che questi nuovi ricchi godono spesso di amicizie politiche importanti.
Di Giuseppe Gabusi, IPE & Political Economy of East Asia, Facoltà di Scienze Politiche, Università degli studi di Torino.