Pdl e Milan: i cuori pulsanti del Berlusconismo.
Milan e Pdl. I due cuori pulsanti del berlusconismo sono in fibrillazione. Si vedono cose mai viste. Un allenatore che si permette di rispondere a muso duro al Cavaliere, «basta che dici una parola e me ne vado, ma finché sono qui faccio di testa mia». E una guerra intestina, sorda e velenosa, nel partito del premier, che lo costringe a uscire allo scoperto, a dire chiaro e tondo che sono in corso «giochi di potere», e che la tensione interna può costargli molti voti alle prossime regionali.
Del Milan, è presto detto. Galliani ha smentito «categoricamente» una nostra indiscrezione, raccolta in ambienti della società, che lo dava in rottura con Berlusconi e forse in uscita a fine campionato. Ma la replica di Leonardo di ieri conferma che gli equilibri sono saltati, che il patron non controlla più la situazione. Le ragioni della crisi e i suoi possibili rimedi sono chiari a chiunque segua un po’ da vicino il calcio. Le grandi squadre le fanno i grandi giocatori. E di grandi giocatori Berlusconi non ne compra più dai tempi di Pato. La differenza tra il Milan di una volta e quello di oggi è che una volta comprava Pirlo dall’Inter, e ora compra Mancini. Prendersela ieri con Ancelotti e oggi con Leonardo, ha poco senso. Sperare che Galliani frigga il pesce con l’acqua, ancora meno. Medice, cura te ipsum.
Sul Pdl le cose sono un po’ più complicate. Diciamo per brevità che Berlusconi, per la sua stessa concezione della leadership, è incompatibile con l’esistenza di un partito vero e proprio. Abituato al partito personale, com’era Forza Italia, il premier soffre ogni forma di dialettica politica e vive come congiura e tradimento ogni conflitto interno. L’inchiesta di Firenze e le chiacchiere su una nuova Tangentopoli hanno fatto saltare il coperchio della pentola, che già era in ebollizione nei rapporti con Fini e con la componente degli ex An.
Già un partito che ha tre coordinatori è un assurdo. Neanche il Pd è mai arrivato a concepire una tale triarchia, fatta apposta per alimentare competizioni interne e confusioni di ruoli. Ma oggi uno dei tre coordinatori è azzoppato perché indagato, un altro (La Russa) è azzoppato perché si sa che Fini vuole sostituirlo con Bocchino, e il terzo, Bondi, è azzoppato dall’imminente sostituzione nel governo con Galan. Se a questo si aggiungono le scelte dei candidati alle Regioni che il Cavaliere ha dovuto palese-mente subire, le voci sul rimpasto, la avanzata della Carfagna come sostituta di Bonaiuti e la mai sopita lotta per la successione al capo rinfocolata dall’attacco a Letta – sferrato sottotraccia sfruttando i guai di Bertolaso – si capisce perché mai come oggi il Pdl è nella confusione più totale. E qui, purtroppo per Berlusconi e a differenza del Milan, non basta fare una dispendiosa campagna acquisti per sistemare le cose. Di Kakà della politica tenuti in panchina nel centrodestra non se ne vedono.
L’unica è che si rimetta a giocare Berlusconi medesimo. Ed è quello che probabilmente farà. Senza un suo intervento diretto in campagna elettorale, senza mettere per l’ennesima volta se stesso in gioco per mobilitare il voto del suo elettorato, le regionali non si tramuteranno in quella marcia trionfale che il Cavaliere ha in testa. E se non saranno una marcia trionfale, i prossimi tre anni di legislatura saranno un Vietnam, con il Pdl dilaniato dalla guerra di successione. Come le vicende del Pd dimostrano, c’è una sola cosa che gli elettori non tollerano: l’anarchia in politica. È paradossale, ma in questo momento il Pdl sta messo peggio del Pd, da questo punto di vista. Dalla monarchia all’anarchia: è questa la deriva che il leader deve mostrarsi capace di fermare.
Di Antonio Polito (Il Riformista)