Marea nera: la scienza non è onnipotente
Sono mesi che da una tubatura a 1600 metri circa di profondità sul fondo del golfo del Messico escono e si disperdono nell’oceano poco meno di centomila barili di petrolio al giorno. Le conseguenze su scala planetaria (il petrolio sembra ormai essere entrato nel flusso della circolazione della corrente del golfo) sono del tutto fuori dalla portata di qualsiasi previsione, eppure i potenti del mondo non sembrano riuscire a comprendere il drammatico insegnamento che ci proviene da questa catastrofe.
Una verità semplicissima salta agli occhi : l’uomo gestisce tecnologie che non controlla totalmente (e questo lo ha sempre fatto visto che incidenti con asce e punte di freccia erano all’ordine del giorno in qualsiasi gruppo di Neanderthaliani), ma quando la sua tecnologia acquisisce una scala planetaria allora la gravità dei guai diventa enorme e non più sopportabile. E’ abbastanza chiaro che fermare un flusso potente che sgorga a 1600 metri di profondità sotto il mare è un’impresa ardua se non impossibile, ma allora in previsione della vastità della catastrofe ecologica di un eventuale (per quanto altamente improbabile) danno semplicemente si sarebbe dovuto evitare di trivellare a quella profondità. Semplicemente per motivi di umiltà riguardo alle nostre capacità di porre rimedio ad un guasto.
Le cose sono andate in maniera differente, ma la semplicissima verità di cui sopra non è mai stata al centro dell’attenzione dei mezzi di comunicazione di massa, in compenso abbiamo visto un Obama arrabbiatissimo che prometteva che la BP avrebbe pagato fino all’ultimo dollaro i danni provocati, un Cameron piccato sull’orgoglio nazionale (BP è l’acronimo di British Petroleum anche se si tratta di una multinazionale) che chiedeva al collega americano di non esagerare … insomma una lite al semaforo dopo un tamponamento. Il denaro sistema tutto, basta accordarsi su quanto ne serve, e poi, proprio come accade nei tamponamenti, la gente che ronza intorno dice la sua. Questi sfaccendati nel caso di specie sono i vari divi di Hollywood che forniscono le tecnologie per filmare sott’acqua oppure la magica pozione per separare il petrolio dall’acqua e così pulire tutto. Di fatto il massiccio intervento dell’industria cinematografica nell’evento ci conferma che un ruolo insostituibile dei potenti della terra (il loro spalancare la vita privata al popolo, ricordiamoci delle regine e delle imperatrici che partorivano in pubblico, o i corridoi delle corti europee forniti di finestre dove la gente comune si affollava per guardare i loro sovrani pranzare) ora è svolto dai divi del mondo dello spettacolo che offrono le loro crisi d’astinenza, i loro amori e le loro malattie allo sguardo del mondo, guadagnandosi così il diritto di intervenire nei momenti di crisi come la catastrofe del golfo.
Si dà il caso che il denaro, di sicuro aiuto per le popolazioni che a breve soffriranno di più dalla catastrofe, sia un aspetto del tutto ininfluente riguardo alla valutazione dell’accaduto, così come ininfluente è la discussione sul fatto che i dirigenti della BP non abbiano fatto le cose a regola d’arte. Questo secondo aspetto anzi, ha un retrogusto ambiguo, e cioè che se le cose ‘fossero state fatte al meglio’ sicuramente il disastro non sarebbe accaduto in quanto la tecnologia è potenzialmente perfetta ed è l’uomo, quando non vi si inchina adorante, oppure quando vuole cercare il suo tornaconto, che provoca guai. Questa idolatria della tecnica che fa riecheggiare il salmo che ci mette in guardia contro il rischio di adorare idoli fasulli (‘..hanno occhi e non vedono, hanno orecchie e non sentono..’) è alla base del pensiero moderno. Cartesio era convinto che ‘non sarebbe mai morto’ in quanto seguiva scrupolosamente quelli che riteneva dei perfetti principi igienici (ci ricorda un pochino le affermazioni odierne di scienziati ed amministratori del S.Raffaele e di altri centri di ricerca), la sua morte per polmonite venne addirittura commentata dai suoi seguaci come una ‘..contingenza dovuta al freddo che non inficiava la ragionevolezza dei principi di base, se non fosse andato nei paesi nordici, il maestro sarebbe ancora vivo..’ appunto, una contingenza, tutto si può spiegare con una contingenza, anche il tubo che si rompe sotto il mare ma, proprio come nel caso della morte di Cartesio ci accorgiamo che si tratta di una spiegazione patetica che si rifiuta di ascoltare la realtà preferendo rifugiarsi in categorie astratte.
Quante persone hanno il coraggio di accettare che la nostra tecnologia è imperfetta, che la nostra scienza non è onnipotente? Gli Stati Uniti hanno come mito fondante l’utilizzo provvidenziale di soluzioni tecniche ad hoc che risolvono i problemi del nostro viaggio su questa terra, per tutto c’è una soluzione, basta dare fiducia (e fondi) alla persona giusta che con il suo ingegno troverà la soluzione. Questa mitologia è abbastanza naturale in un paese di pionieri dove spesso la vita poteva dipendere dalla disponibilità dell’attrezzo giusto al momento giusto ma dagli attraversamenti del deserto del Mojave con i carri di tempo ne è passato e si potrebbe supporre che la sacrosanta attenzione per la corretta attrezzatura non dovrebbe far perdere il senso della misura ed il rispetto verso la natura. Ma così non è, e il solo far balenare l’idea che non abbiamo in tasca la soluzione per ogni cosa potrebbe far vacillare dalle fondamenta le nostre costruzioni sociali. Ultimamente ho discusso con una mia collega che in buona fede sosteneva la tesi assurda (ma molto diffusa) che la cura definitiva contro il cancro non si trovi a causa ‘..degli interessi delle multinazionali..’. Avevo un gran da fare a spiegarle che se una cura del genere fosse alla portata della nostra scienza attuale le industrie farmaceutiche avrebbero avuto tutto l’interesse a renderla disponibile (se si possono fare profitti con farmaci inefficaci a maggior ragione e con minore fatica si possono fare con cure efficaci). Niente da fare, il solo pensiero di qualcosa aldilà della nostra portata sembra essere blasfemo. Il petrolio intanto continua ad uscire e la vita marina ad essere devastata sia dal petrolio che dai solventi usati per limitare i danni alle coste provocati dalla fuoriuscita; astrusi sistemi tecnologici dai nomi fortemente evocativi che ricordano i film con Bruce Willis ( e.g. ‘top kill’) mostrano al mondo la loro patetica inadeguatezza, ma i mezzi di comunicazione di massa preferiscono somministrarci un eroe buono in maniche di camicia che difende il popolo dall’avidità di pochi … così non va.
Di Alessandro Giuliani docente del dottorato di ricerca in Biofisica dell’ Università ‘La Sapienza’ di Roma e collabora con l’ Universita’ Keio di Tokio e con l’ Università Rush di Chicago.