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L’incubo astensioni sulle Regionali

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Rinunciare al voto, disertare le urne è una tentazione ricorrente delle democrazie. La voglia di stare a casa o andare al mare, a seconda della stagione, scatta quando la politica delude, quando tutte le scelte sembrano, anche se per ragioni diverse, egualmente inutili, quando l’astensione pare il modo migliore per punire i partiti, le loro bugie e le loro promesse mancate. Nel caso delle prossime regionali la tentazione potrebbe essere rafforzata dall’esempio della Francia dove, in condizioni per certi aspetti analoghe, il 53,6% degli elettori è rimasto a casa.

Prima di seguire l’esempio francese, tuttavia, faremmo bene a riflettere su alcune considerazioni. Come osserva Roberto D’Alimonte («Il Sole24 Ore» del 17 marzo), l’astensionismo francese è sempre stato piuttosto elevato e ha toccato nelle regionali del 2004 la percentuale del 37,9%. Il fenomeno è dovuto, oltre che a una evidente insoddisfazione per il presidente Sarkozy e il suo partito, a due motivi concorrenti. In primo luogo l’istituto della Regione è relativamente recente. Risale all’ inizio degli anni Ottanta, dopo l’elezione di Mitterrand alla presidenza della Repubblica (1981), si sviluppa gradualmente durante il decennio, crea Regioni che hanno meno poteri e responsabilità di quanti ne abbiano quelle italiane; e soprattutto non ha ancora sostituito nella mente di molti francesi il concetto profondamente radicato di una Francia «una e indivisibile » dove il potere resta saldamente concentrato nei palazzi di Parigi.

In secondo luogo esiste ormai in Francia, come in tutte le vecchie democrazie, un’alta percentuale di elettori che dimostrano, al momento del voto, una sorta di agnosticismo e delegano implicitamente agli altri il compito di scegliere il governo e le amministrazioni locali. Sono pigri e politicamente «analfabeti», non necessariamente animati da sentimenti di rabbia e frustrazione per la classe politica. Ogni Paese ha la sua storia. L’Italia ha una storia di percentuali alte che solo in questi ultimi anni sono andate progressivamente calando. E ha Regioni forti che alla fine della prossima legislatura avranno probabilmente ancora più competenze e responsabilità di quante ne abbiano attualmente. Esistono altre ragioni per cui l’astensione, tutto sommato, non è una buona idea.

L’elettore che diserta le urne manifesta il suo malumore ma lancia un segnale ambiguo, senza contorni precisi, e soprattutto contribuisce comunque a un risultato che potrebbe essere molto lontano da quello delle sue preferenze abituali. Dice no alla competizione, ma verrà comunque governato nella sua regione da un partito o dall’altro. Attraversiamo un brutto periodo e abbiamo serie ragioni per essere irritati dall’indecoroso spettacolo di una classe politica che non perde occasione per fare sfoggio della sua volgarità e della sua impudenza. Ma non dovremmo dimenticare che a ogni elettore, in qualsiasi democrazia, accade molto spesso di dovere scegliere quello che rappresenta, per la sua cultura politica e i suoi interessi, il «meno peggio ». Chi va alle urne e vota per un candidato o un partito acquista il diritto di richiamare le persone prescelte all’osservanza degli impegni presi durante la campagna elettorale. Privarsi di questo diritto, soprattutto in una fase in cui le Regioni stanno diventando sempre più importanti, è perlomeno imprudente.

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Di Sergio Romano editorialista Corriere della Sera