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L’incerta strategia di Obama sull’Afghanistan

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La nuova strategia sull’Afghanistan presentata il primo dicembre dal presidente americano Barack Obama a West Point limita gli obiettivi della missione, fissando l’inizio del ritiro americano nel 2011, attua un surge immediato di 30.000 uomini, e cambia il senso politico della guerra. Lo scopo è “smantellare e distruggere Al Qaeda” per evitare che possa condurre nuovi attacchi contro gli Stati Uniti. Il presidente non ha parlato di diritti umani e democrazia in Afghanistan e, anzi, ha respinto chiaramente la prospettiva di un nation-building che duri anni. Ha escluso impegni che “vadano oltre le nostre responsabilità, i nostri mezzi o i nostri interessi”.
Anche per questo ha indicato una data per iniziare il ritiro delle truppe dall’Afghanistan: luglio 2011. Come avvenuto per l’Iraq, il ritiro avverrà tenendo presente le condizioni sul terreno, il che fa presupporre un margine di flessibilità. Tuttavia il messaggio è chiaro: l’America non può permettersi un impegno a tempo indeterminato in Afghanistan, anche a causa della situazione economica interna e delle condizioni drammatiche del bilancio pubblico.

Un surge militare e civile
Per sconfiggere Al-Qaeda, la nuova strategia americana seguirà tre direttrici. La prima è un aumento dell’impegno militare, 30.000 truppe americane in più da dispiegare all’inizio del 2010. Le truppe americane e alleate avranno tre compiti principali: combattere la guerriglia talebana, rendere sicuri per la popolazione i principali centri abitati, addestrare le forze di sicurezza afgane per passare loro progressivamente la responsabilità sul campo.

La seconda linea di azione è un “surge civile”, cioè un crescente sostegno al governo centrale e locale afgano, nonché ai leader tribali, per migliorare le condizioni di vita della popolazione. Questo sostegno non implica però “cambiali in bianco” al governo Karzai, a cui si chiede di combattere la corruzione e l’inefficienza. La strategia civile include anche una politica di “porte aperte” ai talebani che vogliono abbandonare la violenza e riconciliarsi con il governo afgano. Il terzo pilastro della strategia illustrata da Obama è la partnership con il Pakistan, da rafforzare e ampliare perché i santuari di Al-Qaeda in territorio pachistano costituiscono una minaccia per Washington, Islamabad e Kabul.

La “narrativa” democratica
L’obiettivo fissato da Obama e la strategia per raggiungerlo sono strettamente connessi a un cambio del messaggio politico proposto dalla Casa Bianca all’opinione pubblica americana. Come aveva pronosticato a febbraio il direttore di Chatham House Robin Niblett, una volta diventato presidente Obama ha scoperto che, agli occhi degli americani, la “right war”, la guerra “giusta”, è quella in Iraq perché è finita, mentre quella in Afghanistan è “sbagliata” perché richiede di mandare decine di migliaia di soldati al fronte. In altre parole, mentre l’Iraq non è più un tema controverso perché il ritiro iniziato da Bush procede regolarmente, il sostegno domestico alla guerra in Afghanistan è in calo perché non si vede una fine onorevole del conflitto. Inoltre, la crisi economica e l’aumento esponenziale del debito pubblico americano spingono molti elettori, e molti parlamentari democratici, a chiedere la fine dello sforzo militare per concentrare le risorse in America.

Il discorso di Obama ha tenuto conto di queste crescenti difficoltà interne, ridimensionando l’obiettivo ultimo in Afghanistan, e fissando una data per l’inizio del disimpegno militare. Allo stesso tempo, il presidente ha cercato di costruire una “narrativa” sulla guerra convincente per il pubblico americano.  Il discorso si è aperto, non a caso, con la rievocazione degli attentati dell’11 settembre 2001. Obama ha affermato che l’America non ha scelto di combattere questa guerra, ma vi è stata costretta dall’attacco terrorista. Subito dopo ha sottolineato che il Congresso autorizzò all’unanimità l’uso della forza contro gli stati che ospitano Al-Qaeda, che la Nato invocò l’Art. 5 e che le Nazioni Unite approvarono l’uso di tutti i mezzi necessari contro Al-Qaeda, dando legittimità internazionale all’intervento.

Obama ha menzionato anche gli attentati di Londra e Bali per sostenere che “questa non è solo una guerra dell’America”, affermando che in Afghanistan è in gioco non soltanto la credibilità della Nato, ma la sicurezza degli alleati e del mondo intero. Nella narrativa democratica il punto centrale tuttavia è che l’America ha degli “interessi nazionali vitali” in gioco in Afghanistan, e che la regione tra Kabul e Islamabad rappresenta tuttora una fonte di minacce immediate per la sicurezza nazionale americana. Minacce che vanno combattute preventivamente mantenendo una forte pressione su Al Qaeda per evitare che attui altri attentati in America.

Contro-guerriglia a tempo determinato
Cosa c’è di nuovo nel discorso di Obama? Di fatto, la strategia illustrata non è nuova in quanto recepisce in gran parte le linee di guida sulla contro-guerriglia elaborate dal duo McChrystal-Petraeus, rispettivamente comandante delle forze americane e alleate in Afghanistan e comandante del Comando centrale americano responsabile per il Medio Oriente. Tali linee guida – proteggere la popolazione civile, addestrare le forze di sicurezza afgane, migliorare le condizioni di vita in loco, rafforzare il governo locale – erano già contenute nella “ISAF Commander’s Counterinsurgency Guidance” diramata da McChrystal ad agosto, che a sua volta segue i principi del Counterinsurgency Field Manual elaborato da Petraeus sulla base del successo raggiunto nella stabilizzazione dell’Iraq. Inoltre, già a marzo 2009 Obama aveva illustrato i punti cardine della nuova strategia americana, esplicitati in un “Libro Bianco” pubblicato dalla Casa Bianca. Anche la dimensione internazionale del conflitto, in particolare la partnership con il Pakistan, e la necessità di un “comprehensive approach” che combini sforzi civili e militari, erano già presenti nella “ISAF Strategic Vision” adottata ufficialmente dal vertice Nato dell’aprile 2008.

In quest’ottica di continuità, il discorso di Obama segna due importanti novità.La prima è costituita dai 30.000 rinforzi americani, che insieme ai 21.000 dispiegati da inizio 2009 traducono in pratica le intenzioni del presidente di contrastare la guerriglia talebana e addestrare le forze di sicurezza afgane.  La seconda novità è la fissazione di una data per l’inizio del disimpegno militare: una scelta che invece è in contrasto sia con la dottrina di counter-insurgency di McChrystal-Petraeus sia con l’”impegno di lungo termine” solennemente affermato da documenti Nato, come la Isaf Strategic Vision.

Obama ha evidentemente tentato di trovare una sintesi tra le opposte visioni presenti nell’amministrazione. Da un lato le richieste dei vertici militari, sostenute più o meno decisamente dal Segretario di Stato Hillary Clinton e dall’inviato speciale Richard Holbrooke, sono state accolte con l’invio di 30.000 rinforzi. Dall’altro l’opposizione all’escalation del vice presidente Joe Biden e del capo dello staff della Casa Bianca Rahm Emanuel, condivisa dall’ala sinistra dei democratici, ha ottenuto la fissazione di una data di inizio del ritiro. In altre parole ciò che sembrava acquisito a marzo, cioè un impegno di lungo termine contro la guerriglia, è cambiato alla luce del deludente processo elettorale afgano, della crescita del debito pubblico statunitense, e soprattutto dell’opposizione alla guerra nell’opinione pubblica americana, che è particolarmente forte nel campo democratico.
Il risultato è una strategia che punta a fare counter-insurgency secondo le linee guida già sperimentate con successo in Iraq, ma in un tempo limitato di 18 mesi. Una contraddizione in termini, che rischia di vanificare lo stesso sforzo americano e alleato. Cosa già sottolineata dai repubblicani, che accusano Obama di aver deciso di correre questo rischio al fine di iniziare il ritiro in tempo per la campagna presidenziale del 2012.

Di: Alessandro Marrone – ricercatore presso l’Area Sicurezza e Difesa dello IAI.

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