L’Eurocrisi compie quattro anni
Anno che va, paura che trovi. La crisi dell’euro ha visto nel corso del 2012 un allargamento dei Paesi colpiti, il peggioramento di buona parte degli indicatori economici e sociali e deboli segnali di ripresa. Bruxelles si è trasformata in un cantiere di progetti che più che a risolvere l’attuale crisi sembrano essere finalizzati a prevenirne di future. Intanto alla tragedia greca si è aggiunto il dramma spagnolo, e l’anno nuovo si apre così come si era chiuso il 2011, ovvero con la paura italiana dettata dall’incertezza sul futuro politico del Paese. La disoccupazione intanto ha raggiunto l’11,7 per cento nella zona euro e all’orizzonte non si vedono miglioramenti. E all’orizzonte, dopo quelle di Roma, ci sono anche le elezioni tedesche.
Il 2012, con il collasso delle principali banche spagnole, ha confermato la crisi strutturale del sistema creditizio europeo che ha costretto i governi nazionali a salvataggi miliardari. Basti pensare che, come ha reso noto il Commissario Ue al Mercato interno Michel Barnier, solo tra il 2008 e il 2011 la Commissione europea ha approvato aiuti di Stato a favore delle banche per 4.500 miliardi di euro. A questi soldi vanno poi aggiunti gli interventi approvati nel corso del 2012, come i 45 miliardi in cinque anni per salvare Bankia, Novagalicia, Catalunya Caixa e Banco de Valencia, e i 3,9 miliardi, più circa 550 milioni di interessi in potenziale nuovo debito con lo Stato, per ricapitalizzare il Monte dei Paschi di Siena in Italia.
In teoria le banche si salvano per evitare le ricadute sull’economia reale, che per altro avrebbe dovuto essere stimolata grazie alla maxi iniezione di liquidità da circa 1.000 miliardi che la Bce ha prestato a tasso quasi zero agli istituti del Vecchio Continente a cavallo tra il 2001 e il 2012. Ma evidentemente c’è qualcosa che non va. Nonostante questi aiuti, a fine anno la zona euro è tornata in recessione registrando un calo del Pil generale nel terzo trimestre dello 0,1 per cento. E vista la frenata dello 0,2% nel trimestre precedente, si può a tutta ragione parlare di “recessione tecnica” con un arretramento del Pil su base annua dello 0,6%.
Recessione vuol dire contrazione dell’economia, quindi calo inevitabile dell’impiego. Nel terzo quadrimestre del 2012 l’occupazione è diminuita dello 0,2 % sia nella zona euro che in tutta l’Ue, rispettivamente meno 0,7% e meno 0,5% rispetto allo stesso periodo del 2011 (dati Eurostat). Ecco che i disoccupati hanno raggiunto la percentuale record del 11,7% (zona euro) e del 10,7% (Ue a 27) con punte del 26,2% in Spagna e del 25,4% in Grecia. Per quanto riguarda l’Italia la disoccupazione è arrivata all’11,1%, la decima posizione in Europa ma la prima se consideriamo i Paesi europei del G8. Un aumento considerevole rispetto all’ottobre 2011, quando il dato si attestava al 8,8 per cento. A livello europeo sempre Eurostat stima che a ottobre 2012 in Europa c’erano quasi 26 milioni di disoccupati nell’Ue a 27 dei quali 18,7 nella zona euro, con un aumento di 204.000 persone rispetto al mese precedente. Eppure in alcuni Paesi europei la disoccupazione resta un problema secondario, come in Austria (4,3%), Lussemburgo (5,1%), Germania (5,4%) e Paesi Bassi (5,5%).
Ma la mancanza di lavoro non è il solo dramma di questa crisi. In molti Paesi, a partire da quelli che hanno ricevuto un aiuto economico internazionale, i governi hanno messo in pratica pesanti misure di austerità in nome del rigore di bilancio che hanno ridotto la spesa sociale e abbattuto il potere d’acquisto delle fasce più deboli della popolazione. Prima di tutto in Grecia, dove i rappresentanti della Troika (Ue, Bce e Fmi) hanno monitorato da vicino l’esecuzione delle misure di austerità e delle liberalizzazioni in cambio dei 240 miliardi di aiuti.
Ma negli anni passati anche altri Paesi hanno avuto bisogno dell’aiuto internazionale, come l’Irlanda, vittima anch’essa della bolla speculativa immobiliare e costretta ad accettare 85 miliardi di euro in cambio di austerità, contenimento del deficit e severe riduzioni alla spesa sociale. Stesso destino per il Portogallo, che dopo aver accettato 80 miliardi dai prestatori internazionali, ha dovuto approvare un ennesimo bilancio lacrime e sangue per il 2013. La Spagna le sta provando tutte per evitare la firma di un Memorandum of Understanding in stile greco, ma il governo di centro destra di Mariano Rajoy non ha comunque potuto fare a meno di evitare l’austerità vista la recessione e le condizioni del Paese.
Sullo sfondo l’Italia con l’economia in recessione e l’alto debito pubblico che rappresentano agli occhi dei partner internazionali la minaccia attuale più pericolosa per la tenuta dell’euro. Non è un segreto che la caduta del governo Berlusconi nel novembre 2011 e la “salita in campo” del tecnico Mario Monti siano state viste come una boccata di ossigeno dai Paesi dell’eurozona, in primis dalla Germania. Proprio Berlino, dove si voterà in primavera e dove Angela Merkel è data come favorita, seguirà in prima fila le elezioni italiane di fine febbraio così come è successo nel caso della Grecia, dove alla vigilia della consultazione popolare dello scorso giugno il ministro tedesco alle finanze Wolfgang Schäuble si era addirittura spinto a giudicarla come “controproducente”.
Nel frattempo a Bruxelles, sia pur a rilento, si prendono le contromosse per uscire dalla crisi attuale e prevenirne di future. La chiave di volta dovrebbe essere il piano per il completamento dell’Unione economica e monetaria presentato dal presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy e scritta insieme al presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, al presidente della Bce Mario Draghi e al presidente uscente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker. In parole povere si tratta di una governance economica europea con potere di controllo centrale da parte di Bruxelles, regole di bilancio più strette e capacità di intervento della Ue nei bilanci nazionali. Anche la Bce giocherà un ruolo più importante nell’aiutare i Paesi in difficoltà tramite il nuovo meccanismo di acquisto dei bond nazionali fino a tre anni sul mercato secondario attraverso il fondo salva Stati Ems. Parallelamente Bruxelles sta cercando di mettere a punto la nuova Unione bancaria europea con tanto di supervisione centrale da parte della Bce e di ricapitalizzazione diretta delle banche tramite l’Ems, Germania permettendo. Nel 2013 molti impegni dovrebbero passare dalla teoria alla pratica, e oltre che di austerità si dovrebbe iniziare a parlare di crescita e rilancio della spesa pubblica, almeno in teoria.
@AlessioPisano Il Fatto