La trama nascosta della corruzione
Anche se non bisogna mai dimenticare che un conto sono i sospetti, un’altra cosa la verità, tuttavia le notizie di casi di corruzione politica stanno diventando così numerose da imporre una riflessione di ordine generale. Che però mi sembra giusto far precedere da una considerazione accessoria. E cioè che a ben vedere non si tratta mai soltanto di corruzione politica. Ogni episodio di corruzione politica propriamente detto, infatti, a quel che riferiscono le cronache, è sempre accompagnato da una rete di comportamenti a vario titolo oggettivamente complici: mogli che accettano tenori di vita implausibili, figli ultramaggiorenni che godono senza battere ciglio di favori come cosa dovuta, evasione fiscale generalizzata, amici che si fanno fare lavori e lavoretti da amici degli amici, ecc. ecc.
Insomma, tutta una trama di relazioni fondata su una personalizzazione radicale della vita sociale e insieme una vasta, capillare indifferenza alla correttezza e alla legalità. Ciò che ripropone la domanda invano sempre esorcizzata: ma che razza di società è la società italiana? Un’altra domanda ci riporta alla corruzione politica. La domanda è questa: perché da noi più che altrove la corruzione politica non sembra trovare l’ostacolo di alcuna efficace forza dissuasiva? Perché la paura di essere scoperti e quindi puniti, che dovrebbe naturalmente servire ad arginare la tentazione di cedere al richiamo del denaro facile, in Italia invece non sembra svolgere la sua funzione in misura apprezzabile? Le risposte possibili mi sembrano due, e rimandano ognuna a una profonda anomalia della nostra vita pubblica. La prima riguarda la giustizia.
Il nostro sistema penale- giudiziario, infatti, è ben capace di aprire indagini, ordinare intercettazioni, far scontare arresti preventivi immotivati, divulgare segreti istruttori più o meno compromettenti, e anche alla fine arrivare a rinvii a giudizio. Ma è singolarmente incapace di comminare sentenze esemplari e di farle scontare. I trent’anni di Madoff o gli ergastoli per i responsabili della Enron da noi sono impensabili. Le carceri italiane sono piene quasi soltanto di poveri diavoli, perché se si è un borghese facoltoso, come sono in genere coloro che incappano in un reato di corruzione (e cioè con un buon avvocato e buone relazioni), è rarissimo vedersi condannati in via definitiva a pene che non siano simboliche o quasi. La seconda spiegazione sta nella sciagurata legge elettorale che oggi vige nel nostro Paese. Bisogna ricordare infatti che ciò che giustamente più temono i politici non è il giudizio dei magistrati. È quello degli elettori.
//
È il non venire rieletti, e così dunque vedere cancellata la propria carriera. Ma con il «porcellum» attuale ciò è in pratica assolutamente improbabile. Il giudizio degli elettori sulla persona da eleggere, sulle sue qualità o magagne, infatti, si dà solo dove esista un qualche rapporto personale tra gli uni e l’altro: come per l’appunto avviene per laddove vige una legge elettorale maggioritaria basata su collegi uninominali (come nella Gran Bretagna). Non può darsi da noi, invece, dove, come si sa, non si votano «persone» ma «liste»: immodificabili e preconfezionate dai vertici dei partiti. In Italia, insomma, se per qualunque motivo il politico corrotto è gradito ai suoi capi può dormire sonni tranquilli: niente galera e la carriera sicura come prima.
Di Ernesto Galli Della Loggia editorialista Corriere della Sera