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La Siria è in un vicolo cieco

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Il presidente siriano Bashar al-Asad sembra voler andare avanti a testa bassa: repressione delle proteste, denuncia del complotto straniero e divieto di accesso al paese per media e organizzazioni umanitarie. Ma si sta infilando in un vicolo cieco. Forse ha ragione Abdel Halim Khaddam, vice-presidente siriano dal 1984 al 2005, ora in esilio in Francia, quando afferma che il regime siriano è “irriformabile”. Come si può immaginare che avvenga, allora, l’invocata apertura di un dialogo con l’opposizione e, magari, la formazione di un governo di unità nazionale per l’attuazione di riforme condivise?

Mediazione o trappola
L’ultimo capitolo di questa vicenda a senso unico è la sospensione della Siria dalla Lega degli stati arabi (Lsa). Il provvedimento, che ha colto tutti di sorpresa, è arrivato pochi giorni dopo che le trattative tra la Lsa e Damasco – promosse dal blocco delle monarchie del Golfo (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati arabi, Kuwait, Oman e Qatar) vicine agli Stati Uniti e che non digeriscono l’alleanza siro-iraniana – avevano portato ad un accordo per indirizzare il paese fuori dalla crisi.

L’accordo prevedeva l’interruzione delle violenze, il ritiro dei carri armati e dell’esercito dalle strade, il rilascio delle centinaia di persone arrestate, l’ingresso e la libera circolazione nel paese di media ed organizzazioni umanitarie internazionali, l’avvio del dialogo tra regime ed opposizioni.

Com’era prevedibile, il regime non ha dato alcun seguito agli impegni sottoscritti. La Lsa ha dunque convocato una riunione d’emergenza, il 12 novembre, durante la quale si è consumata la rottura, approvata da 18 paesi (su 22), con tre contrari (Siria, Libano e Yemen) e un astenuto, l’Iraq.

Ancora più dirompenti sono stati i termini della rottura che prevedono, oltre alla sospensione della Siria, l’adozione di sanzioni economiche e politiche, tra cui il ritiro degli ambasciatori da Damasco, e un appello alle opposizioni affinché “si mettano d’accordo su di un progetto unico per la gestione della prossima transizione”. La Lsa inoltre non ha escluso, al fine di proteggere la popolazione siriana, la possibilità di richiedere l’intervento di organizzazioni umanitarie, Nazioni Unite incluse.

Bashar al-Asad è dunque sempre più isolato. Da un lato, il regime viene ancor più delegittimato per non aver rispettato gli accordi. Dall’altro, l’apertura della Lsa al Consiglio nazionale siriano (Cns), ha elevato de facto quest’ultimo a portavoce legittimo del popolo siriano, al punto di attribuirgli il compito di gestire la “prossima transizione”.

Non a caso, la Lsa, ha chiamato anche gli altri gruppi d’opposizione, che ancora non sono confluiti nel Cns, a partecipare alla riunione di Rabat del 16 novembre, proprio mentre veniva interdetta la partecipazione dei rappresentanti del regime alla stessa Lsa.

Avvitamento
Il regime siriano ha definito la sua esclusione come “illegale” e dettata dalla volontà degli Usa di realizzare in Siria un piano non molto diverso da quello che in Libia ha portato alla caduta di Gheddafi. Le stesse motivazioni hanno indotto, il 4 ottobre scorso, Russia e Cina ad opporsi, con un doppio veto al Consiglio di sicurezza dell’Onu (Cds), alla proposta di risoluzione avanzata da alcuni paesi europei.

Il veto russo-cinese è stato motivato dall’introduzione, nel documento, della possibilità di “misure mirate” contro il regime di al-Asad. Tra queste erano contemplate sanzioni economiche e/o interventi di tipo militare, ad esempio una “no fly zone” del tipo di quella attuata in Libia.

Questo tipo di intervento era stato più volte invocato da una parte dell’opposizione siriana vicina alla Turchia, allo scopo di dare una “copertura” alle operazioni dell’”Esercito siriano libero”. Il regime siriano a differenza di quello libico, non ha però mai fatto ricorso all’aviazione. Un’altra parte dell’opposizione, del resto, si è sempre dichiarata contraria alla militarizzazione della crisi, temendo che questa possa far degenerare le divisioni etniche e confessionali in guerra civile.

Lo stesso presidente del Consiglio nazionale siriano, Burhan Ghaliun, si è detto favorevole ad un intervento internazionale, ma solo se limitato ad osservatori ed organismi umanitari. Il Comitato nazionale di coordinamento (Cnc), composto dagli oppositori della “vecchia guardia”, tra cui Michel Kilo ed Hassan Abdel Azim, si è mostrato, invece, critico verso qualsiasi tipo di ingerenza esterna. In più occasioni, per altro, il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha ribadito che un intervento militare in Siria è da escludere.

Diritti e interessi
Ciò che era uscito dalla porta delle Nazioni Unite è rientrato dalla finestra della Lega araba. I paesi arabi, in molti dei quali il rispetto dei diritti umani è molto problematico, si propongono come difensori della “primavera siriana”. Come giustificare questa contraddizione? Da un lato, la volontà di recidere i legami tra regime al-Asad ed Iran e controllare la transizione siriana, accomuna paesi influenti come le monarchie del golfo e gli Stati Uniti. D’altro canto, la “primavera araba” non si è esaurita, e tutti sembrano interessati a non inimicarsene i protagonisti.

Il quadro regionale rimane, comunque, molto problematico. La Russia continua a sostenere Asad: ha già condannato il provvedimento della Lsa e non ha trovato un terreno d’intesa con l’opposizione. L’Iran, assorbito dalla controversia sul nucleare riacutizzata dal recente rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, non si è ancora pronunciato, ma il voto contrario del Libano all’interno della Lsa e l’intenzione dell’Iraq di non ritirare il proprio ambasciatore a Damasco, sono segnali chiari.

Due domande rimangono sospese sul futuro del paese; come reagirà il regime siriano, anche alla luce delle recenti dichiarazioni di Bashar al-Asad secondo cui basterebbero poche ore per mettere a ferro e fuoco il Medioriente? Ma, soprattutto, che ne sarà delle aspirazioni del popolo siriano?

Di Giacomo Galeno  studioso dei movimenti civili nel mondo arabo e free lance.

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