1. Home
  2. Approfondimenti
  3. La crisi, gli economisti e il mago Otelma

La crisi, gli economisti e il mago Otelma

0

Nel linguaggio filosofico e politico della modernità il termine “ideologia” può rivestire significati molteplici e assai diversi, talvolta opposti. Norberto Bobbio ha proposto una distinzione fondata su due tendenze generali: la prima – legata all’accezione “debole” del termine – vede nell’ideologia un sistema sostanzialmente coerente di credenze, una visione del mondo capace di fornire linee guida e orientamenti ai comportamenti politici; la seconda – legata all’accezione “forte” del termine e risalente alla nota definizione di Marx dell’ideologia come “falsa coscienza” – rimanda ad altri grandi concetti della filosofia politica non solo moderna: il “potere” e il “dominio”, esercitati però da un gruppo particolare dietro una pretesa universalità, dietro la maschera dell’oggettività neutrale e inappellabile.

Questo secondo concetto di ideologia può forse essere utile anche ai giorni nostri per comprendere le “radici culturali” della crisi economica globale scoppiata nel 2007 e ancora in corso.
Uno dei tormentoni che più hanno imperversato in questi mesi è stata l’accusa agli economisti di non essere stati in grado di prevedere la crisi. Perfino la regina Elisabetta, recandosi in visita alla London School of Economics nel novembre del 2008, era esplosa: “Come è possibile che nessuno si sia accorto che stava arrivandoci addosso questa crisi spaventosa?”, aveva domandato fra l’imbarazzo dei professori e dei ricercatori presenti.

Qui da noi sono celebri gli strali del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che ha anche invitato gli economisti a stare zitti per almeno un paio d’anni dopo averli sprezzantemente paragonati a Harry Potter (al quale tuttavia le magie riescono eccome…) e al mago Otelma.
Questo tipo di critiche, in realtà nient’affatto prive di fondamento, sono tuttavia minate da un equivoco di fondo. Equivoco che chiarisce molto bene Alessandro Roncaglia nel suo ultimo libro appena pubblicato da Laterza: Economisti che sbagliano. Le radici culturali della crisi (pp. 113, euro 12).

La verità è che diversi economisti avevano previsto la crisi (certamente non scrivendo su un pezzetto di carta il giorno e l’ora in cui sarebbe scoppiata, ma individuando i fattori di fragilità finanziaria e instabilità sistemica, giungendo in taluni casi anche a segnalare la possibilità di una crisi di grandi dimensioni). “Quelli che non l’avevano prevista” – spiega Roncaglia, che fra l’altro è docente di economia politica all’Università “La Sapienza” di Roma ed è stato allievo di uno dei maggiori economisti italiani del secolo scorso, Paolo Sylos Labini, “sono gli economisti mainstream, i sostenitori del cosiddetto Washington consensus.

Costoro consideravano un grande progresso la deregolamentazione dei mercati finanziari e la crescita esplosiva del settore finanziario, affiancati in questo da una poderosa azione di lobbying dei grandi centri di potere economico e soprattutto dal predominio arrogante – tanto più arrogante quanto più distante dai canoni di rigore scientifico – dei diversi filoni della dominante tradizione neoclassica , fondata sull’idea della ‘mano invisibile del mercato’, cioè della capacità dei mercati di trovare da sé equilibri ottimali, nel lungo se non nel breve periodo”. Invece, “le preoccupazioni degli economisti ‘eterodossi’ che avevano previsto la crisi”, è l’accusa di Roncaglia, “non hanno trovato sbocco nei giornali, in Italia spesso controllati dai grandi gruppi finanziari, o nelle principali pubblicazioni accademiche, controllate in un circolo chiuso di valorizzazione reciproca da esponenti mainstream”.

Ecco come gli economisti mainstream sono diventati gli economisti tout court, gli unici circonfusi da quell’aura da grandi sacerdoti della teoria economica che fino allo scoppio della crisi ha accompagnato il loro dispensare “verità oggettive” al di là del bene e del male. Ecco come il dibattito economico – non solo a livello accademico – è stato impoverito dalla progressiva marginalizzazione degli “eterodossi”. Ecco come l’economia si è trasformata in ideologia nell’accezione deteriore del termine.

È proprio ai lavori degli eterodossi capaci di prevedere la crisi che Roncaglia dedica la parte centrale del suo libro, delineando in maniera sintetica ma nient’affatto superficiale il filo conduttore teorico che cuce insieme le varie tesi e i diversi ma complementari approcci. Un filo che riconduce in ultima istanza a Hyman Minsky, uno dei capifila – insieme a John Kenneth Galbraith, a Sidney Weintraub, a Paul Davidson e a Jan Kregel – dei keynesiani d’America.

Non è certo questa breve recensione la sede per entrare nel merito di un dibattito teorico assai complesso ed articolato. Tuttavia, su un pensiero di Roncaglia pensiamo che difficilmente economisti di scuole e tendenze anche molto lontane da quelle citate nel libro potrebbero non concordare: “Una buona politica della ricerca dovrebbe lasciare uno spazio adeguato ai non conformisti; in ogni caso le loro affermazioni non andrebbero apoditticamante respinte o – peggio – totalmente ignorate, com’è accaduto in tante occasioni nel caso della deregolamentazione dei mercati finanziari, senza mai entrare nel merito. Speriamo che di questa lezione si tenga conto in futuro”.

Di Emilio Carnevali (Micromega)