La crisi economica della Grecia piace a molti
Sull’onda della crisi greca si è all’improvviso diffusa un’isteria collettiva: non solo sulle sorti dell’euro, ma dell’intera costruzione europea. La alimentano due partiti contrapposti, entrambi interessati ad accentuare la gravità di questa crisi.
Da un lato i federalisti sperano che la crisi ci obblighi a fare un passo avanti nell’integrazione politica dell’Europa. Non si può aiutare la Grecia senza mettere in piedi un meccanismo che consenta trasferimenti di bilancio all’interno dell’Europa, e questo è impensabile senza un passo avanti nell’unione politica. Non farlo significherebbe rischiare che Atene abbandoni l’euro, eventualità che essi ritengono inconcepibile. D’altronde i federalisti hanno sempre pensato che l’unione monetaria avrebbe prima o poi reso inevitabile qualche forma di unione politica. È la volta buona: la crisi in fondo è benvenuta.
Dalla parte opposta ci sono gli scettici, coloro che non hanno mai creduto nel progetto europeo. Essi pensano che la crisi vendicherà il loro scetticismo. Determinerà la fine dell’euro e darà un colpo irreparabile alle istituzioni europee. Dietro questa opinione c’è molta politica. Non a caso gli scettici sono soprattutto negli Stati Uniti e in quei Paesi europei che non hanno aderito all’unione monetaria (Gran Bretagna, Svezia, Danimarca ma anche la Repubblica Ceca), cioè là dove un fallimento dell’euro potrebbe portare qualche vantaggio. I commenti del Financial Times e soprattutto del Wall Street Journal danno per scontato il fallimento dell’euro. E già assaporano la rivincita sulle decisioni dell’antitrust europeo guidato da Mario Monti, che anni fa obbligò Microsoft e General Electric a cedere un po’ del loro potere di mercato.
Scettici e federalisti hanno ideali e intenti contrapposti, ma oggi, paradossalmente, condividono un interesse comune: accentuare la crisi. Per motivi diversi montano una bolla che, una volta gonfiata, non può che produrre un guaio serio. Perché l’illusione dei federalisti si rivelerebbe per quello che è, cioè solo un’illusione, mentre la profezia degli scettici rischierebbe di avverarsi (anche se il fallimento dell’euro rafforzerebbe il dollaro, come già sta accadendo, e non è evidente che ciò aiuti l’economia americana).
Occorre tenere i piedi per terra. La Grecia ha problemi seri, come tanti Paesi. Il debito è elevato, ma per ora inferiore a quello dell’Italia; il deficit è enorme, ma non maggiore che in Gran Bretagna, o negli Usa; l’economia ha perduto competitività, ma meno della Spagna. C’è, è vero, un imminente problema di liquidità: nei prossimi due mesi Atene deve rifinanziare 22 miliardi di euro di titoli pubblici in scadenza, e rischia di non riuscirci. È per affrontare questi problemi che esiste il Fondo monetario internazionale. Vogliamo, per incomprensibile ostinazione e stupida vanità, tener lontano il Fondo, nonostante sia un’istituzione nella quale gli europei detengono la maggioranza del capitale? Basta un consorzio di banche: 22 miliardi di euro sono una cifra relativamente piccola che molte banche sono pronte a garantire. Scettici e federalisti dicono che queste mezze misure non bastano: serve un big bang. Stiamo attenti a non cadere nella loro trappola.
Di Francesco Giavazzi editorialista Corriere della Sera