Italia senza Papa e senza Re
Il papa è il leader spirituale di tutto il mondo. La sua vicenda personale e religiosa può essere raccontata solo in termini di una grande storia universale. Non faremo dunque torto né al Pontefice né ai cattolici di ridurre le dimissioni di queste ore alle minuzie della cronaca di un singolo paese.
Ma, viceversa, è anche vero che dal punto di vista (molto provinciale, certo) della nostra nazione, che è anche la sede materiale dell’ immenso potere immateriale del Papa, la rinuncia di Benedetto XVI ha un impatto non indifferente, e non sminuibile, sulla nostra vicenda pubblica. La uscita di scena del Pontefice per noi Italiani somma due vuoti politici – al vertice del Vaticano, e al Vertice dello Stato – aumentando la precarietà dell’equilibrio istituzionale nazionale.
C’è poco da argomentare in merito: la realtà è sotto gli occhi di tutti. L’Italia da oggi rimane senza Papa, la sua maggiore guida spirituale, proprio mentre arriva alla fine del suo mandato anche il Presidente della Repubblica , che in questi anni è stato il suo punto di ancoraggio istituzionale. I delicati processi che , con impatto e dimensione diversa, porteranno alla scelta dei successori di questi due uomini, si sovrapporranno. E se per il Conclave, nella sua dimensione extraterritoriale, la scelta del nuovo Presidente della Repubblica Italiana non fa nessuna differenza, il contrario è vero.
In queste prime ore di panico nel mondo cattolico questa differenza già si avverte, sia pur nella confusione che regna nelle loro fila. Chi aiuta (e come e perché ) il vuoto di potere che si è creato in Vaticano? Da chi sarà incassato nelle urne il fervore religioso che l’abbandono del trono di Pietro (gesto così altamente mistico tale da essere percepito anche dai non cattolici) provoca già adesso nel paese? La risposta non è chiarissima, come si vede dalle prime reazioni nelle forze politiche – drammatizzazione nell’area a maggior densità cattolica del Centro; tentativo di mantenere la calma nell’area della sinistra dove comunque si orienta una gran parte del voto dei fedeli di Benedetto; e incertezza in area Pdl dove tra cattolici e non c’è sempre stato un grande andare e venire di consenso.
Nelle ultime due settimane della campagna si aprono nuovi giochi: la Curia che Benedetto lascia ci dicono sia profondamente divisa sull’orientamento dei cattolici italiani, sul rapporto fra politica e fede. Ma è nell’immediato futuro, dopo il verdetto delle urne, che il vuoto al vertice del Vaticano si avvertirà forse maggiormente.
Il primo impegno del nuovo Parlamento sarà, appunto, quello di eleggere il Presidente della Repubblica. Compito sempre difficile per il sistema italiano, che deve trovare intorno alla figura del capo dello stato un accordo numerico che di solito sfugge alla nostra geografia parlamentare, e che tanto più difficile si presenta ora, con un parlamento commissariato da un anno di governo tecnico, un sistema elettorale esploso, una crisi economica inarrestabile e una quota di partiti nuovi e ribelli (Grillo e Ingroia) che entrano nella equazione. Come si troverà il numero necessario per tale accordo è difficile da prevedere. Ancor più se si pensa che anche il di solito decisivo orientamento dei cattolici è a questo punto imprevedibile.
Che si sia o meno credenti, è un dato di fatto che le dimissioni del Papa si aggiungono altra incertezza alla generale volatilità politica in cui viviamo, sottraendo, nelle prossime cruciali settimane, quella influenza stabilizzante che il Vaticano ha sempre assicurato in ogni difficile passaggio del nostro paese.
Di Lucia Anninziata (Huffington Post)