Italia-Afghanistan dopo il caso Emergency
In questi giorni molti si sono chiesti, dopo il fermo dei tre volontari di Emergency in Afghanistan, come possa essere tutelato il cittadino che venga arrestato all’estero. Vi sono precise disposizioni delle convenzioni internazionali. L’art. 36 della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari prescrive che l’autorità che procede al fermo chieda all’arrestato se vuole che sia avvertita la sua autorità consolare. In caso di risposta positiva, il console del paese di origine deve essere prontamente avvertito. Il paese di origine provvede a tutelare l’arrestato con tutti i mezzi consentiti dalla legge locale, ad es. aiutandolo a trovare un difensore. È quanto prescrivono anche la legge e la prassi diplomatica e consolare italiana.
Giustizia emergenziale
Sennonché l’Afghanistan non è un paese “normale”, sia perché è preda di una guerra civile che continua nonostante il massiccio intervento dell’Isaf, sia perché il suo sistema giudiziario lascia molto a desiderare, per dirla con un eufemismo, benché l’Italia, cui è spettato ristabilire il sistema giudiziario afgano nell’ambito dei compiti di ricostruzione assunti dai paesi occidentali, abbia stanziato a tal fine fondi cospicui – 71 milioni di euro (le agenzie civili Usa hanno erogato nel 2008 fondi per 92 milioni di dollari).
Il Codice Penale, per la cui stesura si sono impegnati esperti e magistrati italiani, non è ancora applicato. Viene invece applicato il Codice penale ad interim del 2004, che si compone di soli 97 articoli, l’ultimo dei quali stabilisce che ogni disposizione incompatibile precedentemente in vigore è abrogata. Ma, guarda caso, non è stata formalmente abrogata la Legge sui crimini contro la sicurezza interna ed esterna dell’Afghanistan. Essa è del 1987 e ha il marchio dei “regimi comunisti” essendo stata promulgata durante l’occupazione sovietica dell’Afghanistan (1979-1989). Si tratta di una legge emergenziale che consente ai servizi segreti afgani di procedere all’arresto delle persone ritenute colpevoli di delitti quali il tradimento o l’assistenza al nemico.
I servizi di sicurezza, in questo caso il National Directorate for Security (Nds), godono di poteri enormi, inclusi quelli di arrestare, interrogare e investigare sulle persone accusate di aver commesso un crimine contro la sicurezza dello stato. I procedimenti sono arbitrari e il principio di presunzione di innocenza non è rispettato, in violazione del Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici del 1966, che pure l’Afghanistan ha ratificato. I tre volontari di Emergency sono incappati nella legge del 1987, dopo essere stati accusati di cospirare per l’uccisione del governatore locale, e sono stati tirati fuori grazie al deciso intervento del premier Silvio Berlusconi, che ha messo in moto la macchina della nostra diplomazia. Anche se, va ricordato, le dichiarazioni di innocenza dei tre arrestati sono state all’inizio accolte con una buona dose di scetticismo da vari esponenti della maggioranza (notizie di una confessione si sono rivelate subito false!).
Garantismo e presunzione d’innocenza devono valere per tutti non solo in Italia, ma anche all’estero. La legge del 1987, che non garantisce certamente un processo equo e giusto, è stata criticata da più parti, ed in particolare da Human Rights First, una organizzazione non governativa con sede a New York e Washington, D.C, che monitorizza la regolarità dello svolgimento dei processi in Afghanistan e in altre parti del mondo.
Ripensare il ruolo dell’Italia
L’incidente di Emergency non deve mettere in discussione il nostro impegno in Afghanistan e le rinnovate invocazioni dell’art. 11 della Costituzione, che prescrive il ripudio della guerra di aggressione, sono fuori luogo. Ma l’incidente deve essere l’occasione per riflettere sul nostro ruolo nella coalizione, dal momento che abbiamo profuso fondi consistenti per la ricostruzione dell’Afghanistan e continuiamo ad esservi impegnati con ben tremila uomini. In primo luogo occorre riaffermare la nostra presenza politica. L’Ambasciatore Ettore Sequi, che aveva operato come rappresentante speciale dell’Unione europea per l’Afghanistan, è stato sostituito e c’è chi vi ha visto la volontà di ridimensionare il ruolo dell’Italia, più che un normale avvicendamento.
In secondo luogo i lati oscuri della vicenda di Emergency meriterebbero di essere chiariti. I britannici che controllano la zona dove sorge l’ospedale erano a conoscenza dell’incursione? Perché il governo afgano, sia pure in modo riservato come richiesto dalla delicatezza della situazione, non ha avvertito quello italiano? È arrivato il momento di ridiscutere con fermezza i rapporti tra Italia e Afghanistan e i rapporti con gli altri alleati dell’Isaf.
Ong e diritto umanitario
In terzo luogo è opportuno riconsiderare il ruolo delle Ong e delle organizzazioni umanitarie. Nel mondo occidentale e nelle democrazie liberali queste svolgono un compito fondamentale e l’assistenza umanitaria non può essere solo erogata da organizzazioni che abbiano il bollino “governativo”. Il ruolo fondamentale delle Ong è ad esempio riconosciuto dalla Community of Democracies di cui fanno parte tutti i governi impegnati in Afghanistan e, in base alla loro libertà d’azione, è spesso misurato il tasso di democrazia di un paese. Il governo italiano non potrebbe ad esempio imporre ad Emergency di lasciare l’Afghanistan e chiudere gli ospedali.
L’Afghanistan versa in una situazione difficile, purtroppo non dissimile da quella di altri paesi. Ma vi sono precise regole da rispettare, che sono dettate dal II Protocollo del 1977, addizionale alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949. Questo importante strumento di diritto umanitario si applica alle guerre civili ed è stato ratificato recentemente anche dall’Afghanistan (10 novembre 2009). Esso prescrive che tutti i feriti siano curati, anche se abbiano preso parte alle ostilità. Prescrive anche che i medici non possano essere oggetto di sanzioni per aver rifiutato di dare informazioni sui malati, fatta salva, però, la legislazione nazionale. L’aiuto umanitario deve essere imparziale. Sono i principi della Croce Rossa Internazionale.
Di Natalino Ronzitti professore ordinario di Diritto Internazionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Luiss “Guido Carli” di Roma e consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali.