Internet veloce: un piano che non decolla
Da tema per i tecno-specialisti la banda larga è diventata argomento di dibattito politico. Il risultato che decine di convegni avevano rincorso invano è stato ottenuto da una semplice, netta dichiarazione del vicepresidente del Consiglio Gianni Letta il cui senso era: «Gli 800 milioni previsti dal piano del vice ministro Paolo Romani non ci sono più, la crisi ci spinge a riconsiderare le priorità». Ne è seguito un piccolo finimondo mediatico. La reazione del ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola e tutta la discussione che ne è seguita sono soltanto l’inizio.
Il risultato ottenuto è stato paradossalmente quello di portare all’attenzione di tutti il rischio che l’Italia resti arretrata in un’infrastruttura fondamentale per la competitività del Paese, un tonico anti-crisi formidabile anche se meno visibile delle strade e dei ponti: quello che ci consente di navigare velocemente in Internet, con benefici per la nostra vita privata e professionale. Solo due numeri per ricordare di che cosa stiamo parlando. Il 12 per cento degli italiani oggi non ha neppure i 2 megabit al secondo che il rapporto di Francesco Caio considerava la soglia minima per un Paese moderno. Ma se prendiamo a riferimento i 20 megabit che assicurano l’Internet veloce, secondo i dati dell’Osservatorio Banda Larga di Between la percentuale si innalza al 39 per cento. Una delle più alte d’Europa.
Il piano Romani – quello appunto in discussione per la mancanza di 800 sui circa 1.400 milioni di stanziamento previsti – si riprometteva di colmare questo divario digitale regalando (si fa per dire) 20 mega a tutti gli italiani entro l’anno fatidico 2012. Sia a chi abita in città sia a chi vive in collina o in montagna e oggi è tecnologicamente svantaggiato. In Italia infatti come sempre le medie contano poco; e anche nel digital divide il Paese si presenta disegnato a macchia di leopardo. Accanto a regioni hi-tech abbiamo zone scollegate: e non è necessariamente il Mezzogiorno il territorio meno fortunato. Se guardate la mappa del digital divide notate per esempio che tra le regioni più avanzate, oltre alla Lombardia, alla Liguria e al Lazio, compaiono anche la Campania e la Puglia. Che furono, a metà degli anni Novanta, fra le terre promesse da cui partì il piano Socrate dell’allora Stet (poi diventata Telecom) che avrebbe dovuto cablare l’Italia intera in un tripudio di lungimiranza e modernità.
Così come salta all’occhio il fatto che nell’elenco delle regioni a più alto digital divide figurano sì la Calabria, la Basilicata, l’Abruzzo e il Molise, ma anche il Friuli-Venezia Giulia, le Marche, il Trentino-Alto Adige e la Val d’Aosta: tutte regioni baciate dalla bellezza del paesaggio montano ma problematiche dal punto di vista infrastrutturale. Più o meno nella media sono invece le altre regioni: il Piemonte industriale, il Veneto e l’Emilia Romagna, cioè le aree forti dove risiede la media impresa più competitiva, la Toscana, l’Umbria, la Sicilia e la Sardegna. In certi casi differenze vistose sono visibili all’interno della stessa regione, anche una evoluta come la Lombardia. E non sempre è colpa dei monti. A pochi chilometri da Milano, una delle città più cablate del mondo con la rete ottica di Fastweb, si trovano zone in forte digital divide come le ricche e pianeggianti Mantova e Cremona.
Uno dei motivi che rendono tanto variegato il panorama italiano è proprio la diversa capacità d’iniziativa dei governi regionali. «Piemonte, Val d’Aosta e Sardegna, per esempio hanno fatto molto per portare l’Adsl nei piccoli Comuni e colmare il digital divide di prima generazione (sotto i 2 mega), e altre ci stanno lavorando – dice Marco Mena di Between -. Mentre l’unica al momento dotata di un piano per portare i 20 mega è la Regione Marche, pressata dai piccoli e medi imprenditori che dalla mancanza di Internet hanno tutto da perdere». Come si sa le Marche hanno circa lo stesso numero di distretti industriali della Lombardia pur con un sesto degli abitanti.
Fin qui le infrastrutture di rete, autostrade invisibili di Internet. Ma differenze ancora più forti tra Italia e Italia spiccano nei servizi forniti dalla pubblica amministrazione ai cittadini. Nella sanità per esempio le distanze tra Nord e Sud sono siderali. Ma anche restando al Nord, secondo l’Osservatorio Piattaforme di Between, mentre il Piemonte ha ottenuto buoni risultati nell’informatizzazione delle singole strutture, Lombardia ed Emilia-Romagna hanno creato sistemi integrati i cui benefici sono maggiormente percepiti dai cittadini. La carta regionale dei servizi lombardi, per citare il caso più famoso, è considerata una delle esperienze più avanzate d’Europa. Passando ai trasporti, che dipendono direttamente dalla bravura dei Comuni, ci sono dodici città (sempre secondo Between) che danno sul cellulare le informazioni e i servizi sui mezzi pubblici: sono Bologna, Cagliari, Firenze, Genova, Mantova, Milano, Modena, Parma, Pesaro, Roma, Torino e Trieste. Anche qui forti contrasti: mentre Torino è considerata all’avanguardia, il 40 per cento dei Comuni capoluoghi italiani non offre alcun servizio di info-mobilità, senza distinzioni tra Nord, Centro e Sud. Tra questi ultimi infatti troviamo Agrigento, Alessandria, Arezzo, Gorizia, Savona, Sondrio e Rimini.
Interessante infine l’esempio del turismo, che è la prima voce dell’e-commerce italiano secondo l’Osservatorio Netcomm del Politecnico di Milano. Le tradizionali città d’arte, da Venezia a Firenze, si mettono largamente in mostra con i propri alberghi sui portali specializzati più importanti come Expedia, Bookingonline e Venere. Mentre Milano e Torino sono online solo a metà. E la stessa Roma, città turistica per eccellenza, presenta sul web soltanto due terzi dei suoi circa mille hotel. Ma, al di là dei numeri, che pure sono importanti, anche nel turismo online ciò che conta è la qualità e il buon uso del mezzo. Molte, troppe strutture offrono «dépliant digitali» rigidi che danno informazioni scarse, poche immagini e non sono divertenti da visitare. Un grave difetto in un’epoca di crisi economica in cui i turisti potenziali, prima di organizzarsi il viaggio, confrontano meticolosamente le offerte online già mesi prima di partire. E dunque compiono una visita virtuale che corrisponde al primo, vero test.
Edoardo Segantini (Corriere Scienze)