Industria, altre sette aziende in crisi
Sono arrivate nuove richieste di riduzione di personale. Giorgio Felici: “Serve un patto per lo sviluppo”.
San Marino, 10 agosto 2004
Si allunga la lista delle aziende in crisi. Salgono infatti a diciannove le società industriali che negli ultimi mesi (maggio-agosto) hanno chiesto di ridurre il personale.
Dopo i 12 accordi di mobilità e cassa integrazione già sottoscritti per salvare 35 posti di lavoro, altre sette aziende attive nei settori della meccanica, telefonia, impianti elettrici, videogiochi hanno proclamato lo stato di crisi. In questo caso sono 10 i lavoratori che hanno ricevuto la lettera di licenziamento. In totale, 45 licenziamenti in quattro mesi.
“Siamo di fronte a ripetuti segnali di crisi aziendali- afferma il segretario industria della CDLS, Giorgio Felici – che impongono un cambio dell’agenda politica del Paese. Non c’è dubbio che al primo posto vanno posti i temi del rilancio e dello sviluppo economico”.
Per il segretario della Federazione Industria l’occasione è il dibattito sulla Finanziaria 2005. “Dopo la pausa ferragostana riprenderà il confronto sulla nuova manovra finanziaria e come sindacato dobbiamo chiedere a governo e imprenditori di aprire un tavolo sullo stato dell’economia. Occorre un nuovo patto sociale per il rilancio degli investimenti industriali e dell’occupazione”.
Sulla necessità di dare vita a un “patto per lo sviluppo”, Felici sottolinea che il settore manifatturiero da diversi anni è fermo, stagnante: “Non nascono nuove imprese e i posti di lavoro da tre anni sono bloccati. Analizzando poi meglio il nostro settore industriale, spicca il fatto che tutto il sistema poggia su uno zoccolo duro di poco più di 100 imprese, che occupano quasi 5 mila persone, ossia l’80% degli occupati nel comparto industriale. Il restante 20% è invece distribuito in oltre 350 piccole aziende. Se il vento della crisi dovesse cominciare a scalfire questo zoccolo duro, i contraccolpi economici e occupazionali sarebbero disastrosi. Un progetto economico per San Marino è insomma urgente: per difendere gli attuali livelli occupazionali e per creare nuove imprese”.