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Il Cavaliere prigioniero di se stesso

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La valanga di intercettazioni e documenti della procura di Milano, con le conseguenti rivelazioni sui rapporti tra il premier e le prostitute che frequentavano la villa di Arcore, segna una delle giornate più drammatiche, non solo dell’epoca berlusconiana, ma della recente storia italiana. D’improvviso, non è esagerato dirlo, sembra di essere tornati indietro a diciotto anni fa, quando le accuse di mafia ad Andreotti e la ricostruzione, poi rivelatasi ingannevole, del bacio di Totò Riina al sette volte presidente del Consiglio, avevano diffuso tutt’insieme la sensazione del crollo di un Paese.

Tra le due vicende ci sono alcuni elementi di contatto: come Andreotti era l’uomo simbolo della Prima Repubblica, Berlusconi lo è della Seconda. A loro modo l’uno e l’altro sono il cuore del sistema, anche se di due sistemi diversi. I magistrati che allora come oggi hanno deciso di incriminarli ne erano e ne sono avvertiti, sapevano e sanno di aver imboccato una strada senza ritorno.

Ci sono poi una serie di differenze. Le principali riguardano la qualità delle accuse – la mafia a confronto dello sfruttamento della prostituzione – e degli accusatori: i pentiti di Cosa nostra a cospetto di una serie di ragazze di vent’anni, o poco più, che si prostituiscono a colpi di migliaia di euro o in cambio di un passaggio televisivo.

Non è secondario inoltre che Andreotti, ai suoi tempi e più o meno alla stessa età di Berlusconi, fosse già un senatore a vita considerato un ex della sua stessa stagione. Mentre il Cavaliere sia ancora a tutti gli effetti il presidente del Consiglio alla guida del governo in carica.

Ora, basandosi proprio sull’esperienza, c’è da augurarsi che al contrario di quel che accadde per Tangentopoli tutto possa essere chiarito al più presto. In fondo, sono gli stessi magistrati a trincerarsi dietro l’obbligatorietà dell’azione penale, a chiedere un processo rapido e a ricordare la presunzione di innocenza di cui godono sempre gli imputati. A resistere per conto di Berlusconi sono invece i suoi avvocati.

Viene da chiedersi quanto possa reggere la linea dello scontro frontale, e finale, con la magistratura, davanti al quadro grottesco che le intercettazioni delle escort disegnano. Non entriamo neppure nei dettagli più squallidi. È verosimile che nelle conversazioni tra ragazze spesso sbandate, completamente prive di etica e senza nessun amore per se stesse, ci possa essere molto più di qualche esagerazione e qualche compiaciuta illustrazione dello squallore di certe serate. E tuttavia, anche facendo la tara ai resoconti trascritti, ciò che si ricava da una semplice lettura della documentazione è la descrizione di un Berlusconi prigioniero del meccanismo creato da se stesso.

Un presidente del Consiglio che da un telefonino riservato solo a questo genere di traffico chiama continuamente, e compulsivamente, le protagoniste delle sue feste, o aspetta nevroticamente di essere richiamato. Trattato, nelle conversazioni registrate in cui è nominato, con una confidenza innaturale tra un ultrasettantenne del suo rango e del suo ruolo e ragazzine qualsiasi tra i venti e i trenta anni. Lo definiscono con soprannomi untuosi, gli stessi che adoperano quando gli parlano personalmente. Lo giudicano ferocemente, senza pietà, col cinismo di gente del mestiere. E lo sommergono con capricci urgenti, richieste irripetibili e bisogni inderogabili, una per una aspirando a diventarne la preferita e mostrando di sapere che sarà accontentata.

Già solo per questo sarebbe davvero utile e auspicabile che Berlusconi in un tempo ragionevolmente breve potesse ribaltare il quadro che lo riguarda. Ma non, o non solo, quello delle accuse giudiziarie, appese tuttora alla necessità di dimostrare realmente i suoi rapporti sessuali con la minorenne Ruby. Il premier dovrebbe piuttosto provare a dissolvere la sensazione, che lo circonda dopo la diffusione dei documenti dell’inchiesta di Milano, di essere diventato un uomo prigioniero dei suoi vizi e ricattato da quelle che li conoscono, li accarezzano e li accontentano a pagamento.

Intendiamoci, non è affatto facile che Berlusconi si rassegni a questa necessaria operazione-verità. Ma a questo punto, per il bene di tutti, è diventato davvero indispensabile.

Di Marcello Sorgi editorialista della Stampa

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