Era meglio quando rubavano i partiti
Una volta c’era il clientelismo democristiano. Quella fu la prima forma di corruzione politica nella Repubblica italiana. Era una corruzione di tipo “sociale”. In che senso? Nel senso che era prodotta dai vertici dello Stato e dal loro rapporto con i poteri economici (come ogni forma di corruzione) ma ne beneficiavano tutti i ceti sociali, anche i più deboli, anche gli ultimi. Specialmente al Sud. Un esempio: le false pensioni di invalidità.
Oppure c’erano le assunzioni di massa (in parte inutili) nella pubblica amministrazione. In questo modo il “potere” (cioè i partiti di governo) si assicurava il consenso di massa e al tempo stesso creava un meccanismo di assistenza che “surrogava” il Welfare e ne copriva le debolezze. Era una specie di “Welfare deviato”. Poi vennero le tangenti. Un sistema che agiva sempre sul meccanismo complesso del rapporto tra politica e poteri economici, ma non serviva più a fini sociali bensì a finanziare i partiti e a conservarne il ruolo e l’autonomia. Siamo agli anni 70 e già è in gioco l’autonomia della politica, insidiata e braccata dalla Grande Potenza dell’economia. La politica – cioè i partiti che la incarnano – si difende con le tangenti.
Quella fu la seconda forma di corruzione politica, e degnerò, alla fine degli anni 80, in Tangentopoli, cioè produsse una situazione di illegalità diffusa che alla fine – mal sopportata dai poteri economici costretti in una funzione “ancillare” – provocò l’intervento dei giudici e della stampa e fu la causa del crollo della Prima Repubblica. Era una corruzione più immorale di quella clientelare, ma che aveva ancora un fattore “collettivo”. I partiti, comunque, erano luoghi pubblici, svolgevano una funzione di servizio, o comunque una funzione democratica, e il loro finanziamento aveva una “ragione” di interesse generale. Tangentopoli, naturalmente, fu piena di corruzione anche personale, di arricchimento degli individui. Ma la sua parte più significativa fu quella di partito, di gruppo.
Ora siamo alla fase tre. Che naturalmente assomiglia, nel suo funzionamento essenziale, alle prime due. Però è molto decaduta. Non si offrono più voti in cambio di assistenza, non si cerca più di finanziare i partiti e la politica, ma semplicemente si fanno affari personali. Si arricchisce il proprio conto in banca. È scomparso l’intreccio tra corruzione e democrazia, caratteristiche dei primi due “capitoli” della corruzione. Questo, fortunatamente, riduce i prezzi. Nel 90 le tangenti Enimont erano di miliardi per ciascun partito, oggi si parla di bustarelle “proletarie” da 5.000 euro in contati infilati in un pacchetto di sigarette.
Cosa è successo? Che la politica, nella Seconda Repubblica, ha perduto una fetta gigantesca del proprio potere, a favore delle potenze economiche e dell’economia globalizzata. E a questo punto i “politici”, che non possono più esercitare le proprie funzioni alte, esercitano quelle basse, cercano di cavare dalla politica quello che si può cavare: non potere, né progetti, né consenso, né tantomeno utopie (tutta roba che comunque, anche quella, ha bisogno di finanziamenti) ma qualche spicciolo da mettere in tasca. Un pochino di ricchezza.
La danza delle tangenti non è più guidata dai politici ma dai nuovi padroni. Dal gotha dell’economia. Il quale gioca una battaglia tutta sua, di distribuzione di grandi ricchezze al di fuori del mercato, nella quale la politica svolge un ruolo assolutamente secondario.
È come Tangentopoli? No, è molto peggio. Anche se probabilmente non avrà le stesse devastanti conseguenze politiche (anche perché non c’è più una politica forte, e quindi da devastare). Poi c’è un secondo problema, sollevato da queste ultime inchieste della magistratura. Ci siamo accorti che viviamo tutti in una società dello spionaggio. Il caso Bertolaso è clamoroso da questo punto di vista. Se ce l’avessero detto trent’anni fa che saremmo finiti tutti intercettati e spiati 24 ore al giorno, non ci avremmo creduto. Se un indovino ci avesse raccontato della mole mostruosa delle azioni di spionaggio effettuate dalla magistratura, noi avremmo pensato che si sbagliava, che confondeva l’Italia con un Paese dell’Est, con la Germania comunista di Honecker (avete visto quel film bellissimo, Le vite degli altri?). E invece è successo a noi. Abbiamo superato la fantasia di Orwell e del suo grande fratello.
Che facciamo? Ci abituiamo? In fondo – possiamo dire – i nostri fratelli dei Paesi dell’Est, dal 45 al 98, hanno vissuto in un clima di spionaggio totale, possiamo farlo anche noi.
Però, magari, uno pensava che dopo la caduta del comunismo, l’Europa potesse diventare più liberale, non si immaginava queste nuove forme di totalitarismo attuate con un uso dissennato ed esagerato della tecnologia. Non sarebbe il caso di reagire? Non sarebbe giusto dire che la società perfetta non è quella delle “intercettazioni di massa”, non è quella dove stai sicuro che se uno fa una bricconata (o anche semplicemente mantiene un comportamento personale non in linea con i dettami della morale pubblica unica e sacra) la sconta amaramente? Non so, ho l’impressione che se aspettiamo un altro po’ poi non sarà più possibile tornare indietro, dovremo rinunciare definitivamente alla privacy – che è un pilastro della libertà individuale – perché ci saremo abituati a tutto, e magari saremo diventati tutti ricattabili.
Di Piero Sansonetti (Il Riformista)