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Congresso FLIA, l’intervento del presidente Anis

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Il testo integrale del messaggio di saluto di Simona Michelotti, numero uno degli industriali sammarinesi.

San Marino, 30 giugno 2004

Ecco il testo del messaggio di saluto del presidente Anis, Simona Michelotti, ai delegati del 10° congresso della Federazione Industria della CDLS.

Ho accolto con grande piacere l’invito a partecipare al 10° Congresso della Vostra Federazione che ha opportunamente posto al centro del dibattito il futuro delle relazioni industriali e tutti noi come PROTAGONISTI DEL CAMBIAMENTO.
Ritengo importante sottolineare che l’avermi chiesto di partecipare, non in veste di spettatrice, ma dando la possibilità agli imprenditori che qui rappresento di rivolgersi direttamente ai rappresentanti sindacali e, tramite loro, ai lavoratori dell’industria, costituisce un segnale importante della volontà da noi pienamente condivisa di rilanciare concretamente i rapporti tra le nostre organizzazioni, che, sento dire, si sono un po’ raffreddati negli ultimi tempi.
Ci accingiamo ad un importante rinnovo contrattuale, e parlare di cambiamento con specifico riferimento alle relazioni industriali, significa anzitutto prepararci per tempo con il giusto atteggiamento costruttivo volto a favorire il corretto approccio alle tematiche economiche e normative. Infatti, ferme restando le rispettive sfere di autonomia e responsabilità, credo che proprio occasioni come questa ci possano aiutare a dare un volto migliore al sistema delle relazioni industriali, che è fondato sui principi di coinvolgimento e di responsabilità.
Ed è pertanto muovendo da questa importante premessa che vorrei oggi tracciare un quadro generale da cui trarre, successivamente, qualche indicazione utile al consolidamento di una cultura di relazioni industriali adeguata alle sfide di un mercato sempre più vasto.
E’ un momento veramente difficile, quello che stiamo vivendo, sia nell’economia che nella vita di tutti noi. Siamo pervasi da una tensione e da un’ansia crescenti, alimentate da un escalation terroristica e da immagini inquietanti delle torture e delle barbarie che vinti e vincitori non si risparmiano.
I venti di guerra toccano la tranquillità della nostra vita ed il nostro sentire più intimo, creando in noi un senso di impotenza e di disorientamento.
Deve crescere forte dentro ognuno di noi la voglia di cambiare questo scenario buio per trasformarlo in un clima di dialogo e comprensione reciproca basato sulla pace, sul rispetto, sulla sicurezza e sulla solidarietà.

Cerchiamo almeno noi, nell’ambito di un Paese come il nostro, che vanta una secolare tradizione pacifista, di non farci influenzare da questo pessimismo e impostare rapporti semplicemente seri, costruttivi, positivi.

A sua volta anche l’andamento dell’economia italiana non può che risentire di questa congiuntura sfavorevole, tant’è che la produzione, in questo secondo trimestre 2004, non farà segnare aumenti di rilievo rispetto ai primi tre mesi dell’anno.
Oltre all’Euro forte, che ha ridotto la competitività, e di conseguenza le esportazioni, si fanno sentire i notevoli rincari della materie prime ed il ristagno della domanda interna, che influenza negativamente il comparto dei beni di consumo. La produzione industriale di questi primi mesi del 2004 è ferma sugli stessi livelli dell’autunno del 2001, secondo i dati statistici della CONFINDUSTRIA ITALIANA.

Venendo alle vicende di casa nostra, le relazioni periodiche congiunturali dell’ANIS, come ad esempio quella dell’andamento delle vendite, da qualche anno fanno registrare una flessione generalizzata, accompagnata da una assottigliamento dei margini di profitto. Negli ultimi due anni il fatturato delle Imprese Sammarinesi è diminuito del 2% e le prospettive per il 2004 non sono incoraggianti. Continua quindi il trend negativo e non c’è ancora un’inversione di tendenza.
E un dato di fatto: siamo meno competitivi, come tipo di prodotto, come mercati di sbocco, come costi di produzione, come sistema Paese, come costo ed efficienza della Pubblica Amministrazione. E’ forte la preoccupazione per alcuni segnali che inequivocabilmente indicano la situazione di crisi del nostro sistema. Mi riferisco al fatto che da anni non sorgono nuove, significative iniziative imprenditoriali, ma non solo, assistiamo ad un continuo processo di delocalizzazione di molte nostre imprese alle quali il sistema San Marino non offre più gli strumenti efficaci per la loro competitività e assistiamo a crisi aziendali che spesso coinvolgono un numero considerevole di dipendenti.
Dobbiamo aprire gli occhi e prendere atto che rispetto ad altre aree oggi San Marino è meno competitivo per una serie di ragioni oggettive:
– non abbiamo risorse naturali;
– il costo degli investimenti in terreni e fabbricati è elevatissimo;
– il nostro mercato del lavoro è piccolo e ingessato, inoltre non sono presenti tutte le professionalità richieste;
– il costo per sostenere la burocrazia non è oggi più sostenibile e l’obiettivo di una sua maggiore efficienza rimane bloccata dalla evidente difficoltà a portare avanti le indispensabili riforme;
– il sistema delle imposte comporta maggiori costi sulle importazioni;
– per chi vende nell’Unione Europea ci sono maggiori costi anche sulle esportazioni;
– l’aliquota del 24% per i redditi delle società non esercita più l’effetto originario a fronte di una generale tendenza a ridurre la pressione fiscale in molti paesi Europei;
– inoltre, vorrei sottolineare che anche il costo del lavoro ha superato quello italiano, nonostante il differenziale legato alla parte obbligatoria contributiva.

Ecco dunque che alle incertezze che le nostre imprese già affrontano nei confronti di un mercato sempre più globale, dove la competizione è sempre più agguerrita ed il confronto non è più soggetto alle barriere ed ai confini nazionali, si sommano tutte le nostre specifiche difficoltà interne che ho appena evidenziato.

In un clima economico internazionale incerto, in attesa di una ripresa più volte annunciata ma che non si intravede e le riforme ancora lontane, non credo che l’unica prospettiva sia quella di lottare per mantenere le posizioni, come più volte ci viene da pensare sicuramente per stanchezza, è evidente che dobbiamo reagire, ma da soli come imprenditori, senza il sostegno di tutti gli attori in gioco, Governo e Sindacato, ci sembra un’impresa impossibile.

Veniamo adesso al tema che mi avete affidato: LE RELAZIONI INDUSTRIALI.
E’ un argomento estremamente complesso, se ne dibatte in Europa e nel mondo da sempre e non credo si sia ancora trovato una soluzione in gradi di soddisfare tutte le parti in causa.
Se devo essere sincera, quando ho ricevuto il vostro invito mi sono sentita proprio come se mi aveste tirato un pacco. E’ un argomento da sabbie mobili. Molto delicato, ma ci proverò, con tutto il tatto che serve, sperando di non essere fraintesa e risucchiata dalle sabbie mobili.
Quello che è certo, secondo il mio pensiero quello che deve essere assolutamente certo, è che FARE IMPRESA non è altro che il risultato di un impegno collettivo inscindibile a tutti i livelli: dall’imprenditore, ai dirigenti, agli impiegati, a tutti i lavoratori, in un’unica visione condivisa.
E’ obiettivo di tutti che l’azienda si muova bene e funzioni perché solo così si può generare valore e benessere per tutti gli attori che hanno contribuito a crearlo.
Oggi, in questo difficile scenario, ogni azienda per garantirsi la sopravvivenza e lo sviluppo, deve comportarsi da leader nel proprio settore, deve essere aperta al cambiamento e porsi come obiettivo funzionale alla crescita il quotidiano confronto fra le proprie performance ed il livello attesa dai vari interlocutori interni ed esterni.
Questo significa che la prima responsabilità dell’imprenditore di successo, è quella di preoccuparsi di coinvolgere le persone che lavorano insieme a lui, quindi, oltre agli investimenti produttivi, di investire sulla piena soddisfazione e realizzazione professionale dei propri collaboratori, sulla crescita personale, sulla responsabilità e sulla meritocrazia.
Lo sviluppo delle competenze tramite la formazione e l’addestramento, un ambiente di lavoro sicuro, stimolante e piacevole rappresentano il presupposto di base del successo di ogni impresa moderna.
E questa è la responsabilità dell’imprenditore.
Ma anche il dipendente che fa la sua parte, che si impegna, che si fa coinvolgere per elevare il proprio ruolo e la propria responsabilità all’interno dell’organizzazione aziendale, con forte impegno nei confronti del lavoro affidatogli e che trasferisce la propria crescita professionale anche nella sua vita sociale, è determinante per il risultato positivo dell’azienda e per la sua continuità, garantendo in tal modo il proprio lavoro, quello dei colleghi e dell’imprenditore.
Tutte e due le figure descritte stanno facendo impresa, e sopravvivranno alla inevitabile selezione che avanza sempre più velocemente nel panorama internazionale.

Ho ascoltato con attenzione questa mattina il discorso del Segretario Felici: mi sembra che siamo molto allineati nella visione generale e nella individuazione dei problemi. Su una valutazione non sono assolutamente d’accordo Giorgio, non è vero che tutti gli industriali sono ottusi, per fortuna l’ottusità non è una caratteristica che appartiene ad una solo categoria di persone, ma si distribuisce molto equamente nel genere umano, sindacati compresi.
Ce n’è un po’ per tutti.

Sono fermamente convinta che solo attraverso il dialogo ed il confronto si riesca ad allontanarla e su questo dobbiamo lavorare tutti.
Per cui imprenditori, dipendenti, sindacato, governo tutti assieme devono elevare il livello delle relazioni per rendere possibile il conseguimento degli obiettivi comuni dei quali abbiamo parlato.

Ma esiste oggi, oltre a noi, una condizione che muta strutturalmente l’assetto tradizionale delle relazioni industriali ed è l’avvento di un nuovo interlocutore, potente ed indiscutibile, IL MERCATO, come unico soggetto non astratto, ma reale, che determina il valore economico del lavoro.
Io vorrei tanto pagare un mio collaboratore quanto mi chiede, ma se il costo del mio prodotto non è competitivo rispetto al prezzo di un mercato globale al quale concorrono valori di tutto il resto del mondo, ho condannato la mia azienda al fallimento.
Per questo il tema è difficile, perché specialmente sul fronte “VALORE DI MERCATO” i soggetti che decidono non siamo più noi, né Imprenditori né Lavoratori.
La sfida allora, ripeto non sarà quella di mantenere le posizioni ma, una volta stabilito un equo costo del lavoro, accelerare i processi di efficienza e di flessibilità e rispondere con la conoscenza e la qualità all’attacco del lavoro massificato a basso costo.

Questo incontro è propedeutico al rinnovo del contratto di lavoro.
Lavoriamo tutti perché non sia l’ennesima occasione di scontro infruttifero e frustrante. Non riacutizziamo il clima di scontro che abbiamo vissuto e pagato in occasione dell’ultimo rinnovo del contratto di lavoro e che ha dato luogo a strascichi giudiziari del tutto incompatibili con la disponibilità ed il dialogo. Questi atteggiamenti alzano steccati invalicabili, proprio quando gli steccati debbono cadere per agevolare un punto nobile mediazione e non un disonorevole compromesso rimediato in condizioni di tensione estreme.

A tal fine sarebbe auspicabile introdurre un “nuovo” tavolo di tavolo di lavoro ad alto livello, che unisca imprenditori e sindacati, per cominciare a discutere, nell’ottica sopra esposta, di alcune priorità chiave:
– competitività ed innovazione;
– elasticità salariale;
– formazione professionale e apprendimento lungo tutto l’arco della vita;
– condizioni e organizzazione del lavoro;
– nuove forme di lavoro;
– gestione dell’orario di lavoro;
– conciliazione tra vita professionale e vita familiare.

In chiusura non posso che esprimere l’auspicio di una nuova stagione delle relazioni industriali, una stagione dove vinca la considerazione reciproca dei problemi, una qualità dei rapporti improntata al rispetto reciproco ed una interpretazione dei rispettivi ruoli, autonoma e consapevole.

Prima di salutarvi vorrei rivolgere un saluto affettuoso al Presidente del Congresso, Paolo Giardi, come ha ricordato questa mattina abbiamo cominciato insieme 35 anni fa, abbiamo dibattuto spesso in maniera forte le problematiche di quei tempi, ed è anche a lui che devo la mia formazione da imprenditore e attraverso quel confronto ho certamente limato la mia ottusità.

Grazie Paolo e grazie a tutti per la vostra attenzione.