A distanza di 30 anni, che non sono poi un ‘eternità (o così forse mi illudo!), sembra persino incredibile che in un Paese come il nostro, tradizionalmente intollerante di ogni forma antiliberitaria, abbia potuto essere varata ed applicata una legge come quella del 27 Gennaio 1949, che costringeva tutti i lavoratori sotto la cappa di un unico Sindacato.Forse val la pena di riflettere sull’art. 3 di quella legge: “L’organizzazione sindacale e professionale nella Repubblica è libera: agli effetti però della funzione rappresentativa viene riconosciuta la Confederazione Sammarinese del Lavoro, che raggruppa in un organismo le categorie dei lavoratori intellettuali, tecnici, manuali, oltre che le Cooperative di produzione e di lavoro, le Case del Popolo, i Ritrovi dei Lavoratori e le Cooperative di consumo. In considerazione delle funzioni pubbliche e di carattere sociale che esercita la Confederazione, quale anche ufficio di collocamento, il Governo della Repubblica assegna ad essa un concorso finanziario da stabilirsi anno per anno.”Sembra altresì incredibile che la funzione del Sindacato venisse esercitata quale “cinghia di trasmissione” dei partiti allora al potere, come ha dimostrato un ex-dirigente della stessa Confederazione Sammarinese del Lavoro, il compianto Dr. Egidio Belisardi, in un opuscolo un tempo assai noto, dal titolo” Anni Rossi”.In questa situazione, incredibile oggi ma reale allora, la costituzione di un nuovo Sindacato era l’espressione di un ‘esigenza di libertà, il segno che il nuovo Governo formato dai democratici cristiani e dai socialdemocratici indipendenti voleva riconoscere questa esigenza di libertà, la prova che finalmente a San Marino qualcosa era cambiato, che associarsi liberamente in un Sindacato non era più reato… D’altra parte c’erano troppi diritti del lavoro e dei lavoratori misconosciuti, molto al di là di quanto le condizioni di generale arretratezza e povertà del Paese potessero giustificare: salari nettamente inferiori a quelli delle zone circostanti, gratifiche non previste, istituti contrattuali ridottissimi, nel silenzio del Sindacato… la cui unica preoccupazione era stata il miglioramento delle condizioni dei coloni attraverso il nuovo patto colonico e la legge sull’affittanza agricola.Che i lavoratori avessero dovuto accettare quelle condizioni non è strano, se si ricorda – ed è doveroso – che l’unica alternativa offerta ai Sammarinesi dai governi succedutisi dal dopoguerra al 1957 era stata l’emigrazione.Quali furono invece le maggiori difficoltà che incontraste sia nei confronti dei avoratori che del Governo?
Più che difficoltà incontrammo entusiasmo, anche se è naturale che quando la Confederazione Sammarinese del Lavoro si accorse che il nuovo Sindacato la scalzava da posizioni tanto più importanti in quanto gestite in esclusiva, cercasse di contrastare la nuova organizzazione. E lo fece in due modi: da un lato, accreditando l’opinione che la nuova Confederazione fosse mera trasposizione in organizzazione sindacale del P.D.C.S. e del P.S.D.I.S.; dall’altro intraprendendo una serie di scioperi, che fino allora erano “arma sconosciuta” nel nostro Paese, e accentuando così la divisione.
E furono davvero momenti di entusiasmo per alcune conquiste durature che nel giro di poco tempo riuscimmo a raggiungere: la gratifica natalizia per tutti i lavoratori, la legge sulla pensione ai lavoratori dell’agricoltura, il riconoscimento giuridico dell’organizzazione sindacale, oltre ai rinnovi contrattuali che migliorarono sensibilmente le condizioni di lavoro. Ricordo ancora la soddisfazione per l’ammissione alla C.I.S.L. Internazionale… Ricordo anche – ovviamente – le prime sconfitte, che soffrimmo, quasi come se coinvolgessero le nostre persone: solo a distanza di tanto tempo posso riconoscere che anch’esse contribuirono a farci crescere e a far crescere la Confederazione.
Quale fu la sua funzione operativa e politica nell’Organizzazione ?
La mia funzione era a tempo pieno, anzi pienissimo: c’era da organizzare la nascente Confederazione in collaborazione con gli altri membri del Comitato Promotore; era necessario dotarla delle strutture confederali e di federazione, di uffici, di funzionari; era indispensabile tenere i collegamenti col Segretario Generale Marino Bugli, residente a Ravenna, per le decisioni più importanti che si dovessero prendere oltre i week-end da lui costantemente dedicati a San Marino (e non é piccolo merito!). Si operava con la collaborazione dell’instancabile Augusto Buscarini, con la disponibilità dell’attivissimo Adriano Freschi per l’industria, dell’esperto Tino Zonzini per il pubblico impiego, con il saggio e affettuoso consiglio di Eugenio Reffi e di tanti altri.
E’ stata un’esperienza che ha segnato la mia vita ed è stato quasi doloroso interromperla.
Come fondatrice della C.D.L.S. ha visto realizzarsi in questi trent’anni di vita dell’Organizzazione le aspettative e gli obiettivi che vi eravate inizialmente prefissi?
Affermare che la C.D.L.S. abbia realizzato gli obiettivi che ci eravamo prefissi nel 1957 è limitativo, perchè non terrebbe conto degli enormi mutamenti intervenuti nella realtà sammarinese, della caduta delle tensioni che caratterizzarono il suo nascere, delle aspirazioni di nuova unità (ma nel rispetto del pluralismo!) che informano i movimenti sindacali. La Confederazione Democratica è un organismo vivo e vitale e questo solo fatto dimostra che le nostre aspirazioni di allora e la rivendicazione di libertà erano giuste e fondate, ed è una conferma storica importante. Allora eravamo sul terreno e nella fase delle rivendicazioni; oggi gli obiettivi sono necessariamente mutati e i Sindacati aspirano a partecipare alla delineazione di politiche: ciò è molto più complesso e difficile, anche perché presuppone l’assunzione di responsabilità che un Sindacato non é istituzionalmente in grado di assumere. Si prospettano quindi passaggi più delicati, consapevolezze più mature, funzioni più articolate, equilibri più dinamici: il tutto in una fase di convulsa trasformazione. Mi sia consentito aggiungere un auspicio.
Come allora cogliemmo l’esigenza di una realtà che mutava pur nella improvvisazione della struttura, così auguro alla Confederazione di non attribuire maggior importanza alla struttura rispetto alla necessità di leggere e di comprendere il mondo che cambia, di non burocratizzarsi ma di salvaguardare il suo collegamento con la realtà pur senza lasciarsi travolgere dalle spinte al frammentarismo che rischiano di compromettere la visione dei problemi di fondo. Il mio auspicio è che la Confederazione Democratica – oggi come allora – sappia ispirare la sua azione e le sue decisioni ad alcuni principi che a me sembrano ancora essenziali per i lavoratori e per il Paese, anche perché negli scorsi anni qualcuno ha tentato di rimetterli in discussione. Questi principi sono: autonomia, libertà, che è responsabilità, solidarietà.