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Berlusconi e la commedia della fiducia

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La politica italiana diventa un mistero indecifrabile, un enigma imperscrutabile che però poggia con teatrale evidenza su due desolanti certezze. La prima è che le istituzioni si sono degradate in poche ore a un indecente mercato di voti. La seconda è che il tatticismo convulso e maniacale sta divorando se stesso, e le manovre di corridoio e di anticamera hanno finito per oscurare ogni barlume di razionalità in un universo politico che sta sprofondando con sempre meno dignità nel crepuscolo di ciò che resta della Seconda Repubblica.

Non è un giudizio dettato dal moralismo, sebbene la scena politica e giornalistica sia occupata dalle invettive sul «tradimento», la «compravendita», il «collaborazionismo», persino gli elogi della «prostituzione» (politica, si intende). È lo sconcerto sugli improvvisi cambi di casacca. Sui seguaci del più intransigente antiberlusconismo di marca dipietrista che si convertono con sorprendente tempismo alle ragioni del presidente del Consiglio. Sui frammenti dei transfughi del centrosinistra, un trio di disperati politici dell’ultima ora, che convocano una conferenza stampa per formare un nuovo movimento e per dire che, in tre, voteranno il 14 dicembre in tre modi diversi. Su Italo Bocchino che prima nega perentoriamente di essersi incontrato con Berlusconi e poi lo ammette, smentendo se stesso con una disinvoltura da consumato frequentatore delle più rocambolesche manovre di Palazzo.
Non è moralismo. Ma è anche insofferenza per chi, con pavloviano automatismo difensivo e autoassolutorio, dice che «è sempre stato così». Non è vero: spesso è andata quasi così (specialmente ai tempi dell’agonia del governo Prodi) ma non proprio «così» come in questi giorni. Adesso una soglia è stata oltrepassata. Un confine di elementare pudore è stato violato. Nemmeno l’ipocrisia di motivazioni politiche che giustifichino e diano dignità a un cambio di collocazione politica: solo voltafaccia plateali nelle forme e oscuri nei contenuti. Solo tariffari, mutui sospetti da estinguere in fretta, fantasmi di leggi ad hoc: lunedì sapremo forse qualcosa del destino del Parco dello Stelvio e, insieme, del voto della Svp? Quanto costa la fiducia a un governo? E la sfiducia?

Che una legislatura nata con una maggioranza solida e ampia debba trasformarsi in una partita di caccia all’ultimo voto utile è il simbolo di un declino inimmaginabile fino a pochi mesi fa. Inconcepibile in una tempesta economica e finanziaria, e per fortuna il governo almeno nella blindatura dei conti pubblici ha saputo tenere il timone con fermezza. Inammissibile in una democrazia che dovrebbe vivere di alternative chiare, di progetti contrapposti, di conflitti alla luce del sole e che invece si sta smarrendo in un caos accompagnato dalle urla scomposte delle tifoserie più agguerrite. E dove il Parlamento deve avere un suo decoro da difendere, se non altro per rendere omaggio ai 150 anni di vita di una Nazione che non merita lo spettacolo sconfortante di una fiducia a tariffa.

Di Pierluigi Battista opinionista Corsera

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